Dieci punti dal Festival di Vision - Arpino 2022

Le conclusioni del primo Festival di Vision (Arpino, 21-22-23 luglio 2022) 

Arpino minCOSTRUIRE L’UTOPIA DI UN MONDO SENZA GUERRE? Le dieci idee del primo Vision Festival ad Arpino 

La guerra in Ucraina, iniziata a febbraio 2022 con l’invasione da parte della Federazione Russa, ha fatto emergere domande importanti: come facciamo a difendere il sacro diritto di un popolo ad autodeterminarsi e la necessità di non impantanarci in una guerra senza fine? È possibile, per l’homo sapiens, liberarsi da un fantasma come il conflitto nucleare? Di quali organizzazioni di “peace-keeping” avremmo bisogno? Come saranno gli eserciti del futuro, a cent’anni da ora? Sarà ancora necessario avere eserciti? Quale ristrutturazione delle fonti energetiche ci può liberare da dipendenze energetiche scomode?

Per cercare una risposta a queste domande, Vision ha organizzato il primo Vision Festival ad Arpino (FR), il 21-22-23 luglio 2022. L’evento, in Charity Partnership con EMERGENCY in collaborazione con il Centro Studi Umanistici “Marco Tullio Cicerone”, il Certamen Ciceronianum Arpinas “Progettare La Pace” e la Città di Arpino, con il contributo della Regione Lazio, ha rappresentato un forum di discussione e di presentazione di libri da parte di speakers e autori.

Tra i partecipanti, Francesco Grillo (Director di Vision e Fellow di European University Institute), Rossella Miccio (Presidente di EMERGENCY), Mario Patrono (Professore Emerito Sapienza Università di Roma), Laura Silvia Battaglia (Reporter di Guerra e Autrice), Barbara Gallo (Archivio Disarmo), Alessandra Morelli (Ex UNHCR), Fabio Alberti (Rete Pace e Disarmo), Don Renato Sacco (Pax Christi), Eric Salerno (Giornalista e Inviato Speciale), e molti altri.

“Alienum a ratione bellum”. Sono lapidarie le parole che Don Renato Sacchi di Pax Christi ci ha ricordato all’incontro che Vision ha dedicato a “costruire la pace”. E le stesse sono le parole - come vedremo, non universalmente accettate - con le quali Papa Giovanni XXIII scelse, nel 1963, di porre la nozione stessa di Guerra oltre il territorio della Ragione (proprio quella ragione che gli illuministi rivendicavano per costruire Stati che dalla Religione fossero indipendenti). Oltre che dell’Etica. Per il Papa dell’enciclica “Pace in Terra”, quello che con Kruscev (nato al confine tra la Russia e l’Ucraina) e J.F. Kennedy evitò che il mondo precipitasse all’inizio degli anni 60 nell’inferno nucleare, la guerra è sempre “irrazionale” anche qualora fosse “giusta”. Anche qualora quella guerra servisse a “riparare un danno”, reagire ad un’invasione. E anche qualora quella guerra avvenisse rispettando norme di diritto internazionale.

Non tutti sono d’accordo con l’impostazione radicale seguita dallo stesso Papa Francesco. Per Marco Tullio Cicerone, il più famoso cittadino di Arpino, la guerra poteva invece essere lecita se si fosse verificata, appunto, per correggere un’ingiustizia e se, soprattutto, fosse stata “dichiarata” rispettando norme e procedure preordinate. Nell’impostazione di Cicerone – sorprendente se pensiamo che l’Arpinate fu il più lucido custode dello spirito di un Impero costruito sulla guerra – si ritrovarono, del resto, secoli dopo i grandi dottori della Chiesa (San Tommaso1 e Sant’Agostino2) e secoli prima (come ci ha ricordato nell’incontro di Vision il commovente reading di Daniele Salvo) Pericle, chiamato a resistere e contrattaccare l’esercito di un Dio/Re – Serse – deciso a spezzare la prima democrazia. 

È questa, forse, la duplice visione che Vision ha cercato di mettere insieme. Ventuno giornalisti veri (cresciuti nei teatri di Guerra), professionisti di altissimo livello dell’assistenza umanitaria (Emergency, che dovrebbe diventare un benchmark globale), accademici di diverso background, alcuni richiedenti asilo e rifugiati ucraini, sindaci e amministratori. Due visioni: una per la quale la Guerra è sempre irrazionale; l’altra per la quale, siccome il male ci accompagna, dobbiamo comunque prevenirlo utilizzando tutta l’intelligenza e l’amore di cui siamo ancora capaci.

E, tuttavia, entrambe le visioni sono fortemente diverse rispetto alla terza che sta dominando il mondo: una visione nella quale la guerra comincia senza alcuna dichiarazione o legittimità internazionale (come nel 2022 in Ucraina o nel 2001 in Afghanistan); nella quale le spese militari sono persino ridondanti (ha senso investire in aerei da caccia super costosi che sembravano tecnologicamente obsoleti dieci anni fa, in un mondo che sarà dominato dai droni? Ha senso continuare ad avere arsenali che hanno il potenziale di annientare in pochi minuti l’intera popolazione mondiale centinaia di volte?); e i conflitti (stiamo cambiando le parole per rendere i mostri più accettabili, come dice Barbara Schiavulli) cominciano sapendo già che non ci saranno né vincitori né vinti (come ci ha ricordato Nico Piro, cosa che i generali romani o quelli della Seconda Guerra Mondiale avrebbero trovato folle).

Ad Arpino, di sicuro, tutti sono contro una Guerra che comincia per lanciare narrazioni, messaggi. Per fare campagne elettorali. Con il principale obiettivo di creare commesse pubbliche a imprese che dovrebbero essere, invece, impegnate a vincere grandi sfide tecnologiche. Che producono sofferenze che nessuno riuscirà mai a spiegare. Guerre che cominciano e continuano senza usare la Ragione. Potrebbe avere ragione chi – come Mandela, Papa Francesco o Gandhi – ha ottenuto risultati che nessuno ha mai raggiunto, abolendo l’idea stessa della violenza. Di certo, però, non si fanno guerre perché dobbiamo “stare in un campo”, mentre il ventunesimo secolo ci costringe a re-immaginare tutti gli ambienti. E a ridisegnare istituzioni – Nazioni Unite, NATO, Unione Europea – nate alla fine di altre Guerre per governare (e ci riuscirono egregiamente per mezzo secolo) un secolo completamente diverso.

SI VIS PACEM, PARA (AN EFFICIENT) BELLUM – Bisogna andare oltre la logica del 2%: se abbiamo, comunque, bisogno di prevenire che il “male” cresca fino a diventare guerra, sembra “illogico” fissare un arbitrario 2% alla spesa militare dei Paesi NATO. Oggi – come ricordò Obama nell’ultimo confronto elettorale prima della sua seconda vittoria contro Romney – è giusto che l’esercito americano abbia meno carri armati di quanti ne avesse durante la Guerra di Corea; così come tutti accettano che sia dotato di meno cavalli di quanto non lo fosse durante la Guerra di secessione. Del resto, il trend storico dalla fine della Seconda guerra mondiale (e fino alla discontinuità delle Torre Gemelli/invasione dell’Afghanistan) era di una riduzione della spesa militare rispetto al PIL. Un mondo più tecnologicamente evoluto deve potersi permettere di abbandonare progressivamente la clava riducendo gli omicidi.

GDP Military

 

Military expenditure as share of GDP, 1949 to 2020 – Source: Stockholm International Peace Research Institute (via Oxford Martin School Data) 

Senza aver capito cosa serve all’Occidente (o alla NATO, se riuscissimo a riformarla) per garantire la propria sicurezza, prevenendo le minacce prima che si trasformino in guerre, in un contesto tecnologico totalmente diverso - le tecnologie creano una possibilità di cyber attacco ma anche di cyber sorveglianza che prima non c’erano - non ha senso parlare di percentuali fisse. 

Sulla base di questa premessa, ecco dieci idee emerse ad Arpino:

1) Passare da una logica di aumento di input (spese militari) a una di risultato (riduzione nel numero di vittime di guerra e del numero di sfollati per motivi di conflitto). È importante concentrarsi soprattutto sulla composizione della spesa militare, che andrebbe indirizzata non solo all’acquisto di armi ma soprattutto a investimenti sulla sicurezza, ad esempio sulla cyber sicurezza.

2) Andare progressivamente verso l’abolizione delle armi nucleari con la costruzione di un sistema mondiale di monitoraggio che impedisca a chiunque di lavorarvi.

3) Spezzare l’incentivo, per le imprese che producono armi, di “creare guerre finte”: ciò le danneggia rispetto alla necessità di rispondere a sfide tecnologiche più importanti. Se proprio si decide di investire in tecnologie militari, le gare devono essere, almeno, europee (“common procurement”) per costruire una difesa europea e ridurre la certezza che più spese militari di un Paese diventino fatturato per l’impresa posseduta da quel Paese (si potrebbe anche pensare da escluderla per evitare “conflitti di interessi”).

4) Cominciare a pensare all’architettura di un ordinamento giuridico che sia globale (non solo internazionale) che identifichi velocemente situazioni di pericolo da disinnescare e gravi violazioni di diritti umani a cui reagire; per ciò ci vorranno tribunali internazionali permanenti e una riforma del consiglio di sicurezza (che si potrebbe pensare di sostituire con un simil G20 che voti a maggioranza qualificata).

5) Impact Finance come leva per aumentare le risorse a disposizione della cooperazione, dello sviluppo e dell’assistenza e di riforma (per progetto) dell’ONU. 130 mila miliardi di dollari: questa è la quantità di risorse che l’ex governatore della Banca Centrale d’Inghilterra e del Canada Mark Carney dice essere a disposizione per Impact Finance: climate change, ma anche educazione e salute in gradi di contrastare le disuguaglianze. Un’idea è che le organizzazioni internazionali operino sempre su progetti co-finanziati da privati (ciò ne garantirebbe la qualità e permetterebbe di evitare lentezze burocratiche). Tuttavia, si dovrebbe anche estrarre da esperienze come quella di Emergency dei case studies di cui fare uno scale up. In Italia (ma anche in EU) si dovrebbe rispettare l’impegno preso internazionalmente di destinare almeno lo 0,70% del PIL in APS.

6) Introdurre un servizio civile obbligatorio europeo3 che possa originare una piattaforma di esperienze – da strutturare in modo permanente con le università.

7) Tecnologie: metaverse, telemedicina per integrare meglio ospedali sul campo con competenze centralizzate.

8) Necessità di avere una classe dirigente che includa più donne e più giovani. Le decisioni destinate ad avere un maggiore impatto sul futuro dovrebbero ponderare il voto dando più peso a quello dei giovani, e sarebbe necessario e utile anche abbassare l’età media anche all’interno delle organizzazioni internazionali.

9) Puntare sulla scuola per educare cittadini consapevoli: è importante prevedere, tra le altre cose, lo studio della costituzione e della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, per educare anche al concetto di pace e di rispetto universale delle persone. Sarebbe urgente attualizzare i programmi scolastici di ogni ordine e grado e attivare corsi in tutto il sistema universitario per coniugare una storia del pacifismo.

10) Revisione delle politiche di mobilità umana su base securitaria – perché non si gestiscono i flussi migratori militarizzando i confini di terra e di mare - a partire da riforma dei regolamenti di Dublino. In Italia è necessaria una “cabina di regia” con diversi ministeri e istituzioni tecniche per gestione il fenomeno migratorio (come ha proposto Alessandra Morelli). 

In generale, è quanto mai urgente la necessità di sviluppare princìpi pacifisti universali, rafforzando una coscienza collettiva pacifista che già esiste. Attualmente, il pacifismo rimane purtroppo una generosa utopia per le giovani generazioni, destinata a cedere il passo alla realtà delle guerre – erroneamente collegate all’antropologica aggressività degli esseri umani, quindi vista come costitutiva e non soggetta a cambiamenti. Le donne, peraltro, anche quando non avevano ancora il diritto di voto – quindi, il diritto di decidere sulle sorti collettive – fin dall’Ottocento si sono opposte alle spese militari e hanno proposto un servizio civile obbligatorio, così come hanno elaborato soluzioni pacifiche alle controversie militari tramite l’arbitrato internazionale, pur essendo il più delle volte ignorate dai decisori politici. Poiché le guerre sono un fenomeno che coinvolge tutti, e a proposito di utopie, avrebbe senso che venissero decise tramite un referendum con votazioni digitali - considerato lo strumento massimo della democrazia -. Se c’è lo spazio per la guerra ci deve essere soprattutto quello per la pace. No one left behind.

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1: Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae

2: Agostino d’Ippona, De Civitate Dei

3: Vision ha già formulato questa proposta

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