Problemi veri, strumenti sbagliati
La strategia europea sul greenwashing
Editoriale di Francesco Grillo per il Messaggero.
I problemi sono veri. Gli obiettivigiusti. Gli strumenti, però, quasi sempre, ripetono lo stesso schema: leggi di complessa interpretazione, la cui violazione comporta multe che dovrebbero reprimere comportamenti dannosi. È questo il metodo che sembra aver guidato la più recente generazione di politiche ambientali europee (ma lo stessoapproccio è stato usato per provare a disinnescare i pericoli che verrebbero dalle piattaforme digitali).Un metodo che è riuscito – in soli cinque anni – a trasformare la politica che maggiormente ha caratterizzato la prima Commissione guidata da Ursula Von DER Leyen; nell’elemento di maggiore sofferenza della sua seconda legislatura. Tanto che è sull’ennesima regolamentazione – la direttiva che dovrebbe colpire l’abuso del concetto di sostenibilità come arma di pubblicità da parte delle imprese – che la Presidente della Commissione rischiauna sfiducia da parte della sua maggioranza al Parlamento europeo.
Nessuno sembra negare in Europa (negli Stati Uniti è diverso) che tra le priorità assolute c’è quella di mettere sotto controllo il cambiamento climatico. Del resto, per accorgerci che il fenomeno esiste non serve più neppure la scienza: basta un semplice termometro per avere evidenza che – da anni, quasi ogni giorno, ad ogni ora e quasi in ogni città – riusciamo a raggiungere la temperatura massima mai registrata dagli anni 70. In questo contesto, la Commissione Europea si preoccupa di un problema nel problema: l’abitudine di molte imprese di annunciare traguardi di decarbonizzazione che, secondo la Commissione stessa, risultano falsi nella metà dei casi. Questa pratica fa male due volte: i consumatori vengono ingannati e continuano ad essere inquinati; e le altre imprese vengono danneggiate dalla pubblicità scorretta.
A questa situazione la Commissione propose un anno fa, di reagire con una direttiva che prevede che tutte le imprese che decidono di affermare che il proprio prodotto o attività, ha un impatto positivo sull’ambiente o che stanno lavorando per ridurre un impatto negativo, debbano circostanziare e dimostrareciò su basi scientifiche. Tale dimostrazione andràverificata da professionisti dalla Commissione. E tutto deve avvenire prima ancora che l’affermazione raggiunga i consumatori. Le multe per chi viola questi obblighi possono arrivare al 4% del fatturato totale dell’impresa.
Utile lo sforzo che la direttiva chiede alle imprese di ragionare sulla propria strategia. Dannosa però è una legge che rischia di essere, contemporaneamente, come al solito, “troppo stretta” per intercettare i comportamenti più dannosi. E “troppo larga” perché puòfermare chi fa innovazione. La direttiva lascia, infatti, una serie di dubbi:sono ricompresi tra gli abusi quelli di chi – senza fare affermazioni – si limita a ricolorare di verde i propri marchi? O a cambiare il nome di un’intera multinazionale (successe a BP che si ribattezzò BEYOND PETROLEUM dopo il catastrofico affondamento di una sua petroliera)? E come facciamo a “certificare” la sostenibilità di una start up impegnata su un progetto di ricerca che ha esiti incerti ma importanti?
In realtà, l’Unione Europea (bizzarramente accusata da taluni per essere “liberista”) ripete sempre gli stessi due errori. Parte dall’idea che i “consumatori” vadano protetti (e questo è invece è un atteggiamento che ci aspetteremmo da Stati nati nell’Ottocento). E, ancora peggio, che la realtà sia bianca o nera (e, dunque, certificabile). E, invece, le valutazioni che un’imprese seria fa,sono sempre grigie. Con scelte difficili (ad esempio, tra le turbine di un impianto eolico che vanno smaltitee l’energia rinnovabile che ne viene prodotta). E rischi che non necessariamente un meccanismo sanzionatorio può cogliere.
Ma non è per queste ragioni che la Commissione ha cambiato all’improvviso idea qualche giorno fa ritirando la proposta. I motivi sono un interminabile “tiro alla fune” tra popolari e socialisti che si gioca sulle parole (quelle alle quali la direttiva si proponeva di ridare contenuto). E non sulle strategie.
La soluzione per salvare l’obiettivo senza buttarlo con lo strumento,in realtà, ci sarebbe. Puntiamo, davvero, sull’energia dei consumatori e dei risparmiatori come cittadini maturi. Correggiamo quello che è un “fallimento di mercato”, favorendo la nascita di agenzie che forniscano – in maniera sintetica e affidabile –agli individui informazioni sulla sostenibilità di imprese e prodotti. A tendere il lavoro di professionisti di questo livello dovrebbe essere pagato dagli stessi cittadini che chiedono informazione di qualità per scegliere. Ma, all’inizio, potrebbe essere la stessa Unione a farsi carico di incentivi insieme a investitori istituzionali che hanno interesse a maggiore trasparenza.
In fondo, il fallimento di molte politiche ambientali (tra le quali quella sulla reportistica di sostenibilità per le imprese; ma anche quella più globale dei mercati nei quali si compraun “diritto ad inquinare” finanziando progetti sostenibili) è anche determinato dall’inadeguatezza degli strumenti usati per misurare la sostenibilità; e dalla mancata “indipendenza” del misuratore(dalle società di “audit” a quelle di “rating”).Quella di fare dei cittadini i clienti di informazione di qualità (che possono comprare ma anche vendere), è una strada di innovazione ambiziosa ma non impossibile: in fondo all’inizio della sua storia Moody’s viveva delle sottoscrizioni che singoli risparmiatori facevano delle sue pubblicazioni.
L’Europa del Futuro deve trovare una sua strada per affrontare le sfide che ci stanno portando fuori dalla storia. Per riuscirci dobbiamo trovare schemi radicalmente nuovi: quello che punti tutto su cittadini capaci di difendersi da soli - senza multe e con le proprie scelte - è l’unica che ridia senso a parole (resilienza, sostenibilità) che, in principio, erano giuste.
Bibliografia:
Commissione Europea (2025). Green Deal. Link.
The Economist (2024). How to pay for the poor world to go green. Link.
The Guardian (2025). EU rollback on environmental policy is gaining momentum, warn campaigners. Link.
The Guardian (2025). Political cowardice hindering Europe’s climate efforts, says EU’s green chief. https://www.theguardian.com/world/2025/jul/02/political-cowardice-hindering-europe-climate-efforts-eu-green-chief-teresa-ribera.