Il vertice della NATO
Cinque idee per sfuggire alla sindrome del cinque per cento.
Editoriale di Francesco Grillo per Il Messaggero.
Cinque per cento. È probabile che sia questo il fantasma che agiterà le cancellerie europee nei prossimi anni. Il comunicato con il quale il segretario generale della Nato ha concluso qualche giorno fa l’incontro di quella che – esagerando – chiama “la più forte alleanza della storia” ha prodotto un solo risultato che può però essere estremamente ingombrante per un’economia europea debole. L’impegno di triplicare la spesa in difesa entro il 2035 significa porre i governi di fronte a scelte che possono essere politicamente molto rischiose in un contesto che è già difficile. Sembrano saperlo bene i Presidenti del Consiglio di Paesi come l’Italia e la Spagna chiamati a fare sacrifici imponenti che possono colpire un elettorato lontano dall’idea di sentirsi in guerra. In realtà però ci sono almeno cinque strategie che l’Europa può adottare per dotarsi di capacità di difesa adeguate alle sfide, senza correre il rischio di diventare ancora meno popolare.
L’impegno preso la settimana scorsa al vertice della Nato può, in teoria, costare le prossime elezioni politiche a molti governi europei. Ciò sembrano saperlo bene il nostro Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, mentre il Ministro dell’Economia Giorgetti ne teme l’impatto su un bilancio dello stato che – ogni giorno – viene valutato dagli investitori internazionali (ancora prima che dalla Commissione Europea).
La situazione dell’Italia è particolarmente delicata: perché dalla metà del prossimo anno verrà a mancare il supporto del PNRR (che vale circa il 3% del PIL all’anno per tre anni); perché, comunque, l’Italia si è già impegnata a ridurre la propria spesa pubblica del 0,6% all’anno con la Commissione (e, invece, le spese militari potrebbero spingere i conti pubblici in direzione opposta); ed, infine, perché siamo esposti ad un rischio di dazi che, non necessariamente, verrà addolcito dalla concessione che a Trump è stata fatta sul fronte della spesa militare. Sono rischi che condividiamo con tutti e, in particolare, con la Spagna, il cui Primo Ministro ha, di fatto, ottenuto un’esenzione. Con un aggravante però: l’Italia è l’unico Paese europeo nel quale – secondo un sondaggio del ECFR – la percentuale di chi si oppone al riarmo (57%) è superiore a chi gli è favorevole (17%).
Ci sono, però, almeno cinque possibilità che l’Italia e gli altri governi europei possono giocarsi per ottenerepiù capacità di difesa, contenendone il costo. La conferenza sull’Europa del Futuro” che si è appena tenuta lo scorso fine settimana a Siena ha riunito parlamentari di tutti i Paesi e le famiglie politiche europee, e ne fornisce dettagli importanti.
Innanzitutto, c’è da dire che il costo di difendersi cambia completamente, se lo facciamo insieme. Se al posto di 27 bilanci nazionali, ce ne fosse uno solo dell’Unione, l’Agenzia per la Difesa Europea calcola che potremmo risparmiare il 30%. Senza spendere un euro in più dei 320 miliardi che abbiamo speso nel 2024, potremmo, cioè, aumentare di un terzo la nostra capacità di difesa solo per effetto di economie di scala. Non è un risultato che l’Unione può conseguire domani; ma fa impressione che, ad esempio, in termini di acquisti di tecnologia, i ventisette acquistano in maniera congiunta meno di quello che facessero prima della guerra in Ucraina.
In secondo luogo, anche all’interno dei budget dei Paesi presi singolarmente sembrano esserci inefficienze da trasformare in spesa utile. Gli Stati Uniti spendono meno del 30% in personale; il Portogallo, l’Italia, la Grecia sono tutti al di sopra del 60%. I Paesi europei messi insieme spendono tanto quanto la Cina. Ma la Cina spende il doppio in ricerca e la guerra oggi si vince con armi completamente nuove
C’è, poi, in terzo luogo, la tecnologia che sta appunto, cambiando l’equazione in maniera drastica. In Ucraina la guerra si sta combattendo con droni che possono costare anche poche centinaia di euro. E che sono riusciti ad abbattere bombardieri che costano decine di miliardi. In questo senso, nessuno lo dice, ma se l’Ucraina ha bisogno dell’Europa per sostenere una guerra infinita, è, ormai, l’Europa ad aver bisogno dell’Ucraina che spinta dalla vera molla che fa innovazione – essa si chiama necessità – è diventata leader in settori che saranno decisivi.
In quarto luogo, c’è una considerazione legata ai droni. Se investiamo in tecnologia a uso militare in maniera intelligente, possiamo ricavarne una spinta che può essere utile per aumentare la produttività di settori – la sanità, il trasporto pubblico – che, in questo momento, rischiano di subire da una spinta al riarmo una riduzione di risorse già scarse.
Infine, è vero che dell’aumento una parte (l’1,5 del 5%)è da dedicare a spese che – in senso più lato – rendono una società meno vulnerabile. Potrebbe essere questa l’occasione per introdurre quel servizio civile obbligatorio (magari, a livello europeo) che molto può aiutarci a sentirci comunità capace di occuparci delle nostre debolezze.
In realtà, del resto, come osserva Giorgia Meloni dobbiamo essere in grado di difenderci meglio non solo per rispondere ad un attacco (non del tutto probabile) della Russia (che è debilitata e spende la metà dei Paesi dell’Unione). Ma per tornare ad essere presenti in territori che sono a un’ora da Lampedusa: in Libia, in Siria, a Gaza se necessario. È fondamentale per cominciare ad anticipare crisi che ci siamo limitati – per decenni – ad aspettare impotenti. Per farlo dovremmo essere intelligenti come gli ucraini che combattono per la propria sopravvivenza e quella di una nazione.
Bibliografia:
NATO (2025). NATO concludes historic Summit in The Hague. Link.
The Economist (2025). A defence splurge will slow Europe’s deindustrialisation. Link.