Il sogno dell'Unione politica europea

Ma ci vuole una democraziona europea per realizzarlo

Articolo di Francesco Grillo per Il Messaggero.

Io credo che noi europei ci sentiamo troppo sicuri, Ed, invece, il tempo della nostra leadership è finito. Riusciremo a far sopravvivere la capacità di influenzare il mondo attraverso i nostri valori? Non credo a meno che non riusciremo ad adattarci ad un mondo nuovo. In fondo, la storia insegna che le civiltà non sono eterne.

È impressionante come siano attuali le parole pronunciate dal cancelliere tedesco Konrad Adenauer. Nel 1956, un anno prima del trattato istitutivo a Roma.

Il padre dell’Europa propose – insieme a Schumann e De Gasperi - di andare verso l’unione politica e fu quello il progetto politico di maggiore successo nel ventesimo secolo. Oggi, però, quell’unione risulta ancora incompiuta. Inadeguata rispetto a sfide che i padri fondatori non potevano neppure immaginare. Tuttavia, un’unione politica si realizza solo se ad essa corrisponde la creazione di una democrazia e, dunque, di un demos europeo che renda legittima quell’unione: ed è questo il dettaglio che decenni di integrazione hanno trascurato. Un dettaglio che sembrano sottovalutare, persino, i piani – autorevoli – che sono stati proposti per scuoterci dal torpore di un declino che è pericoloso perché apparentemente lento.

Che sia necessario parlare con una sola voce con gli Stati Uniti e la Cina, è reso plasticamente evidente da ciò che succede negli ultimi mesi. L’Europa unita ma afona non è capace di sciogliere i nodi strategici sulla difesa e ciò può produrre il miracolo al contrario di deteriorare “patti di stabilità finanziaria” già precari senza aumentare la nostra forza. Non siamo stati, neppure, in grado di intervenire sulle piattaforme di notizie (inventate) che si pongono l’obiettivo esplicito di indebolirci dall’interno. E, neppure, è arrivata dall’Europa una posizione comune sui conflitti che, da anni, ci circondano dalla Siria fino al Marocco, passando per Gaza, e ciò ha effetti devastanti sul piano della superiorità morale dalla quale quest’Europa dovrebbe ricominciare. Ciò succede in un contesto di veloci cambiamenti nei quali il costo della non scelta è, persino, superiore a quello di prendersi il rischio di sbagliare. Questo è vero, persino, sulla questione dei commerci sulla quale, almeno in teoria, l’unità dovrebbe essere piena. Tecnicamente, l’Europa sarebbe guidata sulla partita dei dazi dal commissario Maroš Šefčovič (che, peraltro, viene dallo stesso partito euroscettico del primo ministro slovacco Fico); ma, in realtà, sembra conoscere come unica possibile tattica quella dell’attesa per non pestare nessuno degli interessi che cerca di tenere insieme. Ma non riuscendoci a prepararci per diversi scenari, le imprese europee non possono pianificare alcuna risposta pagando, già, costi di incertezza ingenti.

È necessario andare verso l’unità politica. Ma ciò si scontra con un problema che non abbiamo mai risolto. Un’Europa davvero capace di decidere senza aspettare gli Stati, ha bisogno di una più forte legittimità popolare.Non può esserci tassazione senza rappresentazione”, osservava, il primo Ministro inglese pochi mesi della dichiarazione di indipendenza delle colonie americane del 1776: è questa la legge minima e ferrea della democrazia che l’Unione ha scelto come proprio valore fondante. Del resto, la debolezza delle integrazioni che abbiamo conosciuto negli ultimi decenni, è stata proprio quella di avvenire senza aumentare la capacità dei cittadini di darle forza. La legge con la quale eleggiamo il parlamento europeo (l’unica assemblea elettiva sovranazionale del mondo) è rimasta la stessa dall’anno – 1979 – nel quale fu eletto per la prima volta.

Interessante è il ricordo dei due consoli che accompagnarono per 500 anni la trasformazione di un piccolo villaggio in un impero. Essi detenevano un potere che era assoluto sull’esercito in tempi di guerre permanenti, rimanevano in carica per un solo anno senza la possibilità di essere rieletti e rispondevano a ferree regole sui conflitti di interesse: governavano, dunque, per risolvere problemi concreti, senza condizionamenti e con il solo obiettivo di accrescere la propria reputazione. Ciò che però è importante ricordare è che in quella Roma – così come ad Atene - il potere traeva legittimità da forme di democrazia che sembrano oggi evolute: nei comizi centuriati erano tutti i cittadini di quella Repubblica – sia i patrizi che i plebei – a scegliere direttamente a chi affidare l’onere di quella responsabilità.

È necessaria l’unità politica sull’Europa. Ed è necessario che l’Europa si doti di difesa comune. Non solo per difendersi dalla Russia; ma per ricominciare ad avere capacità di interdizione in un Mediterraneo che abbiamo abbandonato. Ma non si può continuare a “fare l’Europa, senza fare gli europei”. Senza immaginare e sperimentare nuove forme di democrazia – come alla grande conferenza che si terrà a SIENA tra un mese sull’Europa del Futuro - senza le quali l’Europa rimarrà paralizzata a osservare nei convegni un futuro che dobbiamo, invece, riprenderci. Sarà proprio la necessità, l’istinto alla sopravvivenza a fare dell’Europa il laboratorio di forme nuove di esercizio della democrazia e del potere.

 

Referenze:

The Economist (2025). What’s wrong with democracy in Europe?. Link.

European Commission (2025). Defence. What European defence does. Link.

New York Times (2025). Europe’s Been Negotiating by the Book, but Trump’s Tearing It Up. Link.

Limes (2024). La guerra circonda il Mediterraneo. Link.

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