COVID -19: PROBLEMI E PROPOSTE PER IL BENE (DEL) COMUNE.
La finanza dei comuni.
Articolo di Mauro Aliano
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1. Un terremoto ha un epicentro, o forse no…
La pandemia in Italia sembra aver avuto delle analogie con i terremoti, nel senso che basta riportare su una cartina l’evolversi per capire che è come se si fosse verificato una sorta di terremoto nel Nord Italia e che gli effetti si siano propagati, poi, in tutta Italia con una minore intensità. Infatti, l’emergenza Covid-19 ha colpito in maniera asimmetrica e trasversale i territori e le regioni italiane, ad esempio per le strutture sanitarie la magnitudo registrata per il Nord-Italia è stata più significativa rispetto al centro-sud (soprattutto Sud-Italia), mentre ci sono settori come quello ricreativo e sportivo colpiti allo stesso modo su tutto il territorio italiano. A questa evidenza, che si è dipanata e rafforzata con il trascorrere delle settimane, si sono susseguiti provvedimenti da parte del Governo centrale, sotto forma, prevalentemente, di Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) finalizzati ad individuare aree o zone vaste sulle quali intervenire e di conseguenza limitando o impendendo gli spostamenti delle persone e imponendo la chiusura di alcune attività. Per quanto riguarda i provvedimenti che di fatto hanno bloccato le attività produttive, in termini di impatto sulle aree geografiche, pur essendo bloccate alcune categorie ATECO su tutto il territorio, i maggiori effetti si hanno sull’area Nord del paese sia in termini di occupazione sia in termini di valore aggiunto (SVIMEZ, 2020). Accanto a questo, giova ricordare che il tessuto produttivo e occupazionale delle regioni del Sud è stato quello che era uscito peggio dalla lunga recessione 2008-2014. Questa premessa, sull’impatto occupazionale e sulle attività produttive è necessaria per capire le sorti dei Comuni d’Italia, in quanto gran parte delle entrate correnti provengono dal pagamento di tasse e imposte da parte dei cittadini e delle imprese che operano localmente. Il mancato incasso dei tributi locali, o un eventuale ritardo, potrebbe determinare degli effetti a catena più o meno prevedibili che potrebbero portare, laddove non si intervenisse con tempestività, anche ad un peggioramento o una sospensione di alcuni servizi essenziali. In questa sezione dell’elaborato si individuano alcune problematiche di carattere economico/ finanziario ed alcuni possibili interventi per porre rimedio. Il primo problema riguarda la liquidità che affluisce nelle casse comunali, ovvero quelle risorse necessarie per far fronte all’emergenza da una parte (ad esempio: mancati pagamenti, erogazioni di servizi di emergenza, etc.) e che consentono di garantire l’erogazione dei servizi essenziali di competenza dall’altra. Non incassando i soldi sui tributi comunali, i Comuni si trovano nella difficoltà di trovare la liquidità necessaria per far fronte alle spese. Questo è un problema non solo contingente, pertanto affrontabile attraverso le anticipazioni di tesoreria attraverso il canale bancario, ma potrebbe diventare anche un problema strutturale. Il secondo problema, collegato al primo, riguarda i mancati incassi dei tributi locali, infatti il dibattito, al momento, verte solo su una sorta di anticipazione di liquidità, ma bisogna tener conto di quella parte dei tributi che non verrà mai incassata e che avrà effetti non solo sul bilancio del 2020, ma anche sulla costruzione dei bilanci negli anni a venire. Dal punto di vista delle opere pubbliche comunali, è verosimile attendersi un’ulteriore flessione della spesa per investimenti causata da una riduzione delle attività degli uffici comunali. Questa situazione è aggravata dalla mancata approvazione dei bilanci di previsione e dalla burocrazia che, anche in tempi normali, rallenta le attività degli enti pubblici. L’ultima questione, non per importanza, riguarda la gestione del personale e l’attivazione delle attività collegata allo smart working, manca ancora una quantificazione degli effetti del “lavoro da casa”, il tutto partendo da una quasi totale assenza di un processo di digitalizzazione cominciato qualche lustro fa e mai portato a termine. Questa tematica incide direttamente sulla produttività del lavoro pubblico e potrebbe avere delle implicazioni sulle future assunzioni di nuovo personale.
2. Pochi, maledetti e subito
Per avere contezza di un possibile impatto sulle casse comunali è opportuno partire da qualche dato storico. Nel 2018 le entrate tributarie accertate per i comuni italiani ammontavano a circa 33 miliardi di euro (IFEL, 2019) ed erano composte da IMU, TASI, TARI e addizionali IRPEF e rappresentavano circa il doppio dei trasferimenti correnti dello stato centrale ai Comuni (15 miliardi di euro circa, tra cui il Fondo di Solidarietà Comunale, FSC, pari a circa 6.5 miliardi di euro). In totale le entrate tributarie rappresentano il 50% delle entrate correnti dei Comuni italiani. Il ritardo dei pagamenti della “vecchia IUC”, posticipando le scadenze dell’IMU e della TASI dal 16 giugno a data da destinarsi, potrebbe avere un effetto sulle casse dei comuni tra i 5 e i 7 miliardi di euro per il primo semestre del 2020, anche se una parte di queste risorse vengono poi trasferite allo stato (una quota IMU). A questo si deve aggiungere il mancato incasso dovuto al pagamento delle addizionali IRPEF. Per la TARI il discorso si complica, in quanto il servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti, coperto integralmente dagli incassi della TARI, continua ad essere erogato dai comuni. Se gestito al di fuori del Comune, sia con affidamento in house-providing sia con un meccanismo di esternalizzazione, i ritardi potrebbero incidere sul servizio prestato dai dipendenti e dai fornitori e potrebbero portare anche ad una sospensione del servizio. Per avere, anche qui, un ordine di grandezza, il totale della TARI accertata nel 2018 è pari 10 miliardi di euro secondo i dati dell’IFEL, e dal punto del cash-flow (se adottassimo una logica economico-finanziaria) di solito le rate vengono suddivise in un numero di rate compreso tra 3 e 4. Un ritardo, o una posticipazione delle entrate, creerebbe uno squilibrio di cassa significativo a fronte di un servizio che non può essere interrotto. Dal punto di vista alimentare, il trasferimento dei 400 milioni di euro disposto dalla Protezione Civile nei confronti dei Comuni (Ordinanza del Capo della Protezione civile n. 658/2020), rappresenta una sorta di partita e non un contributo ai comuni. Infatti i 400 milioni di euro non possono essere utilizzati dai comuni per finalità diverse rispetto all’emergenza alimentare e, nelle migliori ipotesi, sono stati già distribuiti e spesi dai cittadini in difficoltà. Nel breve periodo le misure messe in campo dal governo per fronte alla liquidità sono rappresentate dall’anticipazione del FSC per un valore pari al’66% dell’ammontare totale, una misura che vale poco più di 4 miliardi di euro, comunque non sufficiente, per i numeri sopra esposti, a far fronte agli squilibri di cassa determinati da un mancato incassi dei tributi locali. Spingendo l’orizzonte temporale più in la di qualche mese, anche trasferendo l’intero FSC, la liquidità per i comuni non verrebbe comunque garantita. Per questa ragione, oltre all’anticipazione di tesoreria attraverso il circuito bancario, sarebbe utile far venir meno le norme su un equilibrio di cassa che al momento non può essere rispettato. Se è vero che l’equilibrio di cassa verrebbe verificato il 31 dicembre dell’anno in coro, è altrettanto improbabile che le scadenze posticipate dei tributi ricadano tutte nell’anno 2020. Se è vero che questa cosa curerebbe l’aspetto formale-contabile, è vero che in termini di cash-flow la criticità comunque permarrebbe. Forse sarebbe il caso di prevendere il pagamento dei tributi da parte di quelle famiglie e imprese che non sono state colpite dall’emergenza sanitaria da un punto di vista finanziario, in una sorta di solidarietà fiscale finalizzata a compensare i mancati incassi complessivi. A questo si aggiungerebbe l’anticipazione di cassa garantita da Cassa Depositi e Prestiti e implementata attraverso il circuito bancario.
3. La palla magica e le previsioni del futuro
Il mancato incasso, non solo delle entrate tributarie, nonostante l’erogazione delle spese, porterebbe l’ente ad avere non solo ad un problema di liquidità ma anche una possibile sospensione dei servizi e delle attività erogate. Al di là degli effetti sul cash flow (sull’equilibrio tra entrate e uscite), seguendo le regole contabili il problema dei mancati incassi si riflette sulla possibilità reale di impegnare le somme necessarie. Ci sono particolari spese che sono vincolate a delle entrate, come ad esempio gli oneri di urbanizzazione, e altri capitoli di spesa che potrebbero risultare non adeguatamente “finanziabili” in assenza di entrate accertate durante l’anno (o comunque accertate per un ammontare più basso del previsto). A questo si deve sommare l’entità dei Fondo Crediti di Dubbia Esigibilità (FDCE) che, come suggerisce il termine, potrebbe non essere sufficiente non per far fronte ai mancati incassi, in prima battuta. Il problema, poi, si porrebbe per il bilancio di previsione 2021-2023, dove la dotazione del FDCE potrebbe essere, se le regole contabili di costruzione non cambiassero, ancora più rilevante in termini di ammontare, assorbendo, nei fatti, gran parte delle spese consolidate e non. Dunque, il problema del FDCE si concretizza sia nel breve sia nel lungo termine e influenzerebbe anche la capacità di programmazione dell’ente. Infatti, in fase di bilancio di previsione 2021-2023 non potranno essere previste le stesse somme per le entrate tributarie (poiché questo dipenderà dalla ripresa economica), limitando ulteriormente la capacità di spesa pubblica. È chiaro che la combinazione tra FCDE e previsione di entrata potrebbe deprimere ulteriormente le possibilità di spesa. A questo si aggiunga la possibile arbitrarietà, per l’anno prossimo, nella definizione delle possibili entrate tributarie, come se fosse un esercizio da chiromante con la palla di vetro al seguito. È difficile fornire ordini quantitativi su una possibile riduzione delle entrate tributarie. Secondo i dati raccolti dall’ISTAT , le entrate tributarie tra il 2006 ed il 2010 si ridussero del 20%. A differenza dello shock dovuto al COVID-19, la crisi dei subprime e i successivi effetti, durò più anni e non ebbe le stesse caratteristiche, per diffusione e forza, di quella che attualmente si sta dispiegando. Una flessione delle entrate causata dal mix FCDE e previsioni di entrate potrebbe portare ad una riduzione della spesa da parte dei Comuni tra i 3 e 6 miliardi di euro, che dovrebbero essere compensate da un trasferimento da parte del governo centrale, non avendo i Comuni altre possibilità ed essendo già stati colpiti da quasi 15 anni di spending review.
4. Signor Sindaco, la strada che faccio ogni giorno è piena di buche
I comuni sono da sempre una sorta di front-office per la risoluzione dei problemi tra pubblica amministrazione e cittadini/imprese. In questo momento la rete dei Comuni, grazie all’estesa ramificazione, rappresenta il braccio armato del governo centrale per l’applicazione e la vigilanza delle norme approvate. Basti pensare, come si è accennato in precedenza, che i buoni spesa sono stati erogati dai Comuni nell’ambito delle funzioni di assistenza sociale. Spesso le risorse finanziare e umane sono state distolte da altre funzioni per rispondere, con tempestività, all’emergenza sanitaria. Anche il personale, per quanto compatibile, è stato collocato a riposo. Per gli investimenti e le opere pubbliche realizzate dagli enti vi sarà, pertanto, un necessario slittamento. Il trend, dal 2011 ad oggi era già in forte calo, ma il rischio che ci sia la paralisi totale è concreto. Il dramma della spesa per investimenti nei comuni è legato, principalmente, all’enorme mole di regole e norme che stritolano la (non tanto) libera possibilità di realizzare opere pubbliche a beneficio della collettività. Si è passati dai 12 miliardi di euro nel 2010 (come pagamenti) agli appena 8 miliardi nel 2018. In questa emergenza, una maggiore razionalizzazione delle norme e delle regole potrebbe rilanciare un’attività che produce un moltiplicatore della spesa rilevante e spesso trascurato.
5. Sveglia il caffè, barba e bidet….
Sul fronte del personale del settore “pubblico allargato” è emersa, dal punto di vista mediatico, la carenza del personale in ambito sanitario. Allo stesso modo, senza clamore mediatico, è emersa la carenza di personale nei Comuni. Partendo dai controlli della polizia locale, laddove disponibile, passando la gestione dell’assistenza sociale, la rete dei comuni è stata spesso aiutata da associazioni e gruppi di volontariato che in parte si sono sostituiti alle attività riservate ai comuni. Allo stesso modo però, l’attivazione dello smart working, potrebbe aumentare la produttività del singolo dipendente, anche se manca ancora una quantificazione degli effetti del “lavoro da casa”. Questo in quanto le amministrazioni comunali sono partite da una quasi assenza di digitalizzazione, processo che solo formalmente è cominciato qualche lustro fa. Nell’immaginario collettivo la figura dipendente pubblico coincide, spesso, con lo stereotipo fantozziano del dipendente che si sveglia al mattino e comincia una giornata caratterizzata dalla solita routine, mentre questa potrebbe essere un’opportunità per rilanciare una sorta di cultura del lavoro del funzionario pubblico di tipo “smart”. Inoltre i mancati incassi illustrati precedentemente potrebbero limitare l’assunzione di nuovo personale, semplicemente per l’assenza di entrate che finanzino l’assunzione di personale o la sostituzione di quello che è andato ed andrà in pensione.
Proposte ed idee
Come per il settore privato, anche per la rete dei Comuni, sono necessari alcuni interventi di carattere finanziario tesi a non bloccare definitamente la “longa manus” del governo centrale. La modulazione degli interventi deve tener conto del reale effetto causato dalla pandemia con particolare attenzione alle aree più colpite (tendenzialmente nel Nord Italia). Insomma, così come non vanno bene i tagli lineari, non vanno allo stesso modo bene i contributi “a pioggia”. La forza di fuoco richiesta è importante ma i numeri non sono poi così rilevanti rispetto alla dimensione degli aiuti complessivi erogati dallo stato italiano sino a questo momento. Non sarà forse necessario il “bazooka” adoperato per il settore privato, ma nemmeno la pistola ad acqua che si intende utilizzare.