Dove è finita la rivoluzione dell'Intelligenza Artificiale?
Un'idea per completare la più grande delle Rivoluzioni (senza esserne travolti)
Articolo di Francesco Grillo su Il Messaggero e Il Gazzettino
“La tecnologia può avere un impatto enormemente positivo o anche orribilmente catastrofico. Anche se può succedere che i cambiamenti che essa induce siano molto minori di quanto ci si aspettava osservandone le potenzialità”. La misurazione degli effetti che l’Intelligenza Artificiale ha avuto finora sull’economia, può suggerire una risistemazione della prima delle “leggi sulla tecnologia” che lo storico americano Melvin Kranzberg formulò agli inizi degli anni Ottanta. E, in effetti, dal 30 novembre 2022, il giorno dello sbarco sul pianeta Terra del primo robot capace di intendere linguaggi naturali e di fornire risposte processando miliardi di dati, la reazione alla nuova tecnologia è stata enorme nei media e molto inferiore negli indicatori che dovrebbero misurare gli effetti dell’ultimo terremoto digitale.
La tesi dell’Economist è che, al momento, nonostante l’irruzione dell’intelligenza artificiale nelle televisioni e sui giornali, pochissimo sta cambiando per effetto di macchine che dovrebbero sostituire chiunque processi dati per fornire risposte (in pratica, quasi tutti i cosiddetti “colletti bianchi”). Le famiglie di numeri che indicano che la rivoluzione sta procedendo molto più lentamente di quanto si potesse immaginare sono due.
In positivo, c’è da dire che non si vedono (ancora) i licenziamenti di massa che temeva Kristalina Georgieva, il capo del Fondo Monetario Internazionale: il tasso di occupazione nei Paesi avanzati è al livello più alto di sempre (70,2%). Nell’Unione Europea non solo abbiamo appena fatto il record per numero di posti di lavoro offerti dalle aziende che rimangono vacanti; ma tra le prime dieci occupazioni per richieste di lavoratori inevase, ci sono proprio quelle che più velocemente dovrebbero essere sostituite dai robot intelligenti (lavori segretariali, contabili, sviluppatori di software).
In secondo luogo, in negativo ed è il rovescio della medaglia del primo dato, della rivoluzione non si registrano i benefici che i giganti di Silicon Valley (e i mercati finanziari) danno per certi. La produttività per lavoratore non sta aumentando; e, ancora più interessante, è il calcolo di Goldman Sachsche dopo creato un indice azionario fatto delle aziende che più ovviamente dovrebbero essere beneficiate dall’introduzione di “modelli linguistici di grande dimensione” (tra di esse ci sono i produttori di libri e film), ha dovuto registrare che le quotazioni delle imprese che più dovrebbero avvantaggiarsi dell’intelligenza artificiale, stanno facendo peggio.
Cosa spiega il paradosso? E, soprattutto, dobbiamo preoccuparcene visto che ciò sembrerebbe escludere i cataclismi che qualcuno temeva?
In effetti, il rebus della rivoluzione mancata non è una storia nuova. È l’intera trasformazione digitale che sta producendo risultati diversi da quelli che qualche consulente continua a vendere. Fu nel 1989 che uno dei più grandi economisti della storia – Robert Solow – notò che “i computer sono dovunque tranne che nelle statistiche sulla produttività”. Anzi è, proprio, con il progressivo avanzare del digitale che l’economia dei Paesi avanzati ha cominciato a rallentare (e ciò, peraltro, rende meno facile spiegare il paradosso facendo ricorso all’argomento che l’innovazione richieda tempo). Ciò però non significa che le tecnologie digitali non stanno avendo effetti. Internet sta migliorando meno delle grandi rivoluzioni industriali la nostra efficienza, e però cambia il modo stesso che gli umani usano per trasformare informazioni in conoscenza. Non è, in fin dei conti, una rivoluzione industriale ma una mutazione biologica.
C’è infine una parte del mondo che è utile studiare. E nella quale l’intelligenza artificiale sta avendo un impatto maggiore sulla vita delle persone, a differenza di quanto accade in Europa e negli Stati Uniti. In India, un sistema efficiente di assistenza universale è stato costruito sulla base di riconoscimenti biometrici in un Paese che era – fino a quindici anni fa - quasi totalmente sprovvisto di carte d’identità. In Cina, le banche digitali processano richieste di prestiti personali in pochi secondi, laddove fino a vent’anni fa due terzi della popolazione non aveva neppure un conto corrente. Persino in Africa, l’assenza di interessi legati alla conservazione di status quo, rende possibili salti nei processi di sviluppo utilizzando l’intelligenza artificiale.
Qualcuno dice che è normale che i Paesi ricchi procedano più lentamente di quelli che lo sono di meno. In realtà, il punto è che l’innovazione ha bisogno di necessità (come dicevano gli antichi romani che furono grandi innovatori) alle quali applicare ingegno. Partire dalla descrizione della spaventosa capacità di analisi delle macchine; dall’impressionante abilità nell’intendere il linguaggio degli umani e di imparare dai propri errori può produrre un’allucinazione. Il progresso vero parte da un problema concreto – ne abbiamo in abbondanza anche nei Paesi avanzati, dall’amministrazione della giustizia al rafforzamento dei sistemi sanitari – e capire come un robot pensato per servirci può aiutarci a costruire un mondo a misura del suo inventore.
Referenze:
Eurostat. (2024). Job vacancy statistics: Job vacancies - a breakdown by economic activity. Link
Goldman Sachs. (2023). Generative AI could raise global GDP by 7 percent. Link
International Monetary Fund. (2024). World Economic Outlook Update, July 2024. Link
OECD. (2023). The impact of artificial intelligence on productivity, distribution and growth. Link