COP28: Il racconto da Dubai e una nuova strategia per riorganizzare il governo mondiale del clima
COP non funziona perché è espressione di un metodo obsoleto di governo del mondo.
Editoriale di Francesco Grillo per Il Messaggero, Il Gazzettino, Il Mattino.
Ad un certo punto, la settimana scorsa, durante la ventottesima conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico che si è tenuta a Dubai, si è davvero temuto il verificarsi dell’unico vero disastro che le istituzioni temono. Nessuno, infatti, riusciva a superare l’ennesima impasse decisionale che però, stavolta, toccava la scelta della città nella quale tenere la conferenza del prossimo anno. Come i teorici delle organizzazioni sanno, il vero obiettivo di una qualsiasi amministrazione è quella di continuare ad esistere. A volte, anzi, alcune istituzioni preferiscono che il problema per risolvere il quale furono create, rimanga intaccato, pur di continuare a riunirsi. Alla fine, è stato scelto che la prossima COP29 si tenga a BAKU, in Azerbaijan. Ma la decisione dice, in maniera ancora più drammatica, qual è il problema nel quale è affondato il metodo con il quale stiamo provando ad affrontare le grandi questioni globali. Problema di cui il cambiamento climatico rappresenta, solo, il caso più eclatante.
Essere presenti al grande summit sui cambiamenti climatici è, sicuramente, un’esperienza. Soprattutto per gli studenti che mi è capitato di accompagnare quest’anno. La sensazione è un po' a metà tra le grandi esposizioni universali e il villaggio degli atleti alle olimpiadi. Si incontrano nel giro di qualche metro (e per i cinque chilometri che separavano, quest’anno gli ingressi di COP) attivisti brasiliani, “start-uppers” estoni, ministri nigeriani, grandi società di consulenza. E, tuttavia, la sensazione è quella che – per quanto utile e piacevole su un piano personale – COP sia uno strumento assolutamente insufficiente rispetto alla portata del problema che continuiamo a ritenere la più grande minaccia che l’umanità abbia mai affrontato.
L’idea che chiunque si fa di COP è quella di un enorme sforzo organizzativo che fallisce. Anche per l’essere così enorme. L’edizione di DUBAI ha superato tutti i record precedenti ospitando centomila persone. Significa che solo per le spese di trasferta, i delegati sono costati circa 300 milioni di EURO. Gli aerei che li hanno trasportati hanno rilasciato quattrocentomila tonnellate di anidride carbonica che è la metà delle emissioni totali prodotte da 58 milioni di italiani in un giorno. Ma soprattutto la sensazione è che quanto più cresce la dimensione dell’evento tanto più diventano minuscoli i risultati. Nel 2016, ad uno dei COP meglio riusciti (quello di Parigi) 195 Paesi si impegnarono collettivamente a ridurre le emissioni del 43% entro il 2030. Nel 2023, quando siamo arrivati dal periodo che ci separa dal 2030, il valore delle emissioni è aumentato del 7%, invece di diminuire. In questi giorni a Dubai circola una lista di decisioni da prendere fatta di circa trenta nodi; e, tuttavia, anche sull’unico punto (l’istituzione del fondo “loss and damage” che deve compensare i Paesi in via di sviluppo dai danni del cambiamento climatico) sul quale si incassa un accordo, quell’accordo lascia intatti tutti i nodi che vanno sciolti prima che il fondo sia operativo.
COP non funziona perché è espressione di un metodo di governo del mondo (il multilateralismo guidato dalle organizzazioni internazionali) che non funziona più. Non ha senso decidere attraverso negoziazioni senza fine tra 198 Paesi, cercando il consenso di tutti. E alla fine a vincere sono (come per tutti i grandi problemi globali) le leadership politiche più scaltre. Tutte le COP – dalla ventiseima a Glasgow fino alla trentesima in Brasile – si terranno in Paesi che sono tra i primi quindici esportatori di petrolio. La scelta di Baku, in Azerbaijan, è arrivata per un’edizione che spettava all’Europa orientale: l’Unione Europea poteva, almeno stavolta, impuntarsi per pretendere che fosse Praga o Sofia ad ospitare la prossima conferenza e, invece, ha vinto l’Azerbaijan per ritiro degli avversari.
Non funziona COP e l’Unione Europea si limita a guardare, a lamentarsi, a dividersi (come è successo, del resto, con la candidatura di ROMA ad EXPO). È dall’Europa, dall’Occidente che dovrebbe venire un’idea ambiziosa di riorganizzazione del governo mondiale, se ancora siamo remotamente gli eredi di quello che fu l’illuminismo. E, invece, nella paralisi di chi ha perso sicurezza e fiducia, vincono quelli che hanno poche idee ma chiare. Su quelli che sono i propri interessi. In questo contesto possiamo anche, legittimamente sottrarci ai nostri impegni rimuovendo, persino, i limiti alla circolazione delle automobili EURO 3. È vero non farebbe, ormai, molta differenza rispetto alla battaglia più grande. E, tuttavia, la vera sfida per un continente mai così vecchio, è quella di ritornare ad avere una visione complessiva in un mondo che sembra averci rinunciato.