La calda estate del turismo italiano
Tra eccessi, vuoti e assenza di politica industriale.
Editoriale di Francesco Grillo per Il Messaggero.
Scanno è uno dei “borghi più belli d’Italia”. I più affezionati tra i tremila romani che ogni estate ne triplicano la popolazione, esagerano dicendo che dell’Italia è il “cuore”. In realtà, è vero che nel piccolo comune che è assai vicino al centro geografico dell’Italia, si possono leggere – come in laboratorio - tutte le contraddizioni della stagione turistica che si sta concludendo. Si può, anzi, dire che i borghi – quelli più belli – rappresentano bene la vicenda di un intero Paese che sembra sospeso: tra grandi possibilità che sono create da fenomeni globali che producono un vantaggio competitivo che neppure immaginiamo; e prospettive di un graduale, cupo svuotamento. La differenza la farà la capacità di classi dirigenti locali e nazionali di leggere quei fenomeni; di saper concepire una strategia che non può che essere diversa per ciascuno dei nostri cento campanili; di condividerla con un’intera comunità che deve tradurre quella strategia in comportamenti quotidiani.
È vero che nel 2024 il turismo è in crescita, ma gli allarmi sui suoi eccessi (lo chiamano overtourism) sembrano – come dice Nicola Bellini del Sant’Anna di Pisa che, per anni, ha fatto da direttore di uno dei prestigiosi istituti di management turistico in Francia – “il riflesso di un’ideologia” che nega al turismo la sua dimensione “industriale”. E, dunque, innovativa.
La stagione è stata positiva ma a fine 2024, avremo – nella previsione del centro studi Intesa Sanpaolo – appena recuperato come presenze negli stabilimenti i livelli (+7%) del 2019 (subito prima della tremenda mazzata inferta dalla pandemia ad alberghi e ristoranti). Crescono, in particolare, le presenze straniere anche se, comunque, siamo molto lontani dalla Spagna (300 milioni contro 230).
Questa tendenza è, comunque, interessante perché ci mette direttamente in competizione con il resto del mondo e ci obbliga a studiare: essa è, in buona parte, determinata da disgrazie altrui (il Mediterraneo dal Marocco alla Siria è - più o meno - in fiamme) ma anche da quelle che sono le caratteristiche di un prodotto – l’Italia - che viene naturalmente associato all’idea di “bellezza” (e il cui valore è ben conosciuto dai francesi che sulla moda hanno costruito tre delle cinque aziende a più alta capitalizzazione in Europa). La domanda di bellezza è, infatti, ovviamente in crescita in un mondo dominato dagli algoritmi.
Non c’è dubbio, poi, che ci sono luoghi – Venezia, ovviamente; ma anche Siena nei giorni del Palio; la stessa Capitale dove, ormai, interi palazzi sono dedicati a B&B – che diventano poco fruibili per eccesso di presenze. Ma quasi sempre quelle presenze hanno poco valore aggiunto e sono quasi per nulla gestite. Incrociando i dati dell’Organizzazione Mondiale del Turismo (WTO) con quelli di Eurostat, si ricava che la Francia riesce a ricavare 458 euro al giorno per visitatore (includendovi i trasporti); l’Italia meno della metà (220 euro). Ma, soprattutto, c’è che in Italia accanto alle grandi concentrazioni, ci sono desolati vuoti: la provincia di Roma cattura il 97% dei turisti internazionali che soggiornano nel Lazio; quella dell’Aquila ha il 10% dei turisti che visitano l’Abruzzo e metà della sua estensione; il Mezzogiorno (Sud e Isole) conta un terzo dei turisti che visitano le Canarie (e ciò sembra dire che neppure le infrastrutture bastano a spiegare certi ritardi perché Lanzarote dista 1700 km dal proprio mercato di riferimento). Non è una buona notizia, infine, che la crescita degli ultimi due anni rafforzi ancora di più l’estate e che l’inverno faccia fatica.
Cosa manca dunque? Certo che i ponti e le autostrade possono aiutare e – di più – le ferrovie. Può essere utile partecipare alle fiere per confrontarsi con gli altri ma a poco servono spot sporadici in televisione e sporadici premi. È indispensabile, però, ricominciare a pensare. A pensare il turismo come ad una vera e propria industria e non come ad una benedizione (o maledizione) che ci piove addosso. Serve, come per qualsiasi altro grande settore industriale, conoscere chi sono i nostri clienti attuali e potenziali; capirne le preferenze, la capacità di spesa e i comportamenti; scegliere i segmenti (target) che sono coerenti con la necessità di rendere i luoghi fruibili anche dalle generazioni future e organizzare una comunicazione in grado di raggiungerli; e adeguarvi l’offerta utilizzando – in maniera intelligente – tecnologie che non possiamo più subire.
L’esempio microscopico dei borghi dice però anche altro. A Scanno più della metà del patrimonio immobiliare è vuoto (la popolazione residente è in costante calo e sempre più anziana, proprio come nel resto del Paese) e i prezzi delle case sono sempre più bassi. Però, paradossalmente, aumenta il numero di chi raggiunge le montagne per sfuggire ad un cambiamento climatico (le temperature medie estive sono state quest’anno a Roma di 7 gradi superiori alle medie registrate, nello stesso periodo, dal 1970) che sta rendendo inabitabili cemento ed asfalto per periodi sempre più lunghi.
Basta farsi due conti per vedere una colossale opportunità industriale (che ha intuito con brutalità Elon Musk tra un tweet ed un altro). Manca però un qualsiasi tentativo di programmare il futuro. Di immaginarlo. Non dovremmo neanche più parlare di turismo. Ma di politiche di attrazione di persone. Anche di immigrati che possono rispondere alla carenza di personale che chiude molti locali. Anche di professionisti (li chiamano “nomadi digitali”) e famiglie che cercano migliore qualità della vita a patto di poter accedere in remoto al lavoro e ai servizi. Politiche di attrazione con le quali non si fanno convegni. Ma che si studiano e si attuano. Perché definiscono cosa possiamo diventare.
Referenze:
UNWTO (2024); OECD (2024); Multiple sources compiled by World Bank (2024) – processed by Our World in Data. Link.
L’Italia del turismo recupera e supera i valori pre-Covid grazie agli stranieri. Centro Studi Intesa San Paolo. Link.