La battaglia del Clima come imperativo morale e.. il pericolo degli opposti estremismi

Com'è percepito dai cittadini il tema del Cambiamento Climatico?

Editoriale di Francesco Grillo per Il Messaggero

 

In un sondaggio che verrà presentato nella conferenza globale sul cambiamento climatico che si terrà a Trento e Bolzano dal 5 ottobre, c’è una fotografia del dilemma nel quale sembriamo esserci intrappolati. Gli italiani sono-in grandissima maggioranza- convinti che i fenomeni che si stanno dispiegando avranno un impatto negativo sul futuro (laddove queste percentuali alte, lo diventano ancora di più per le donne, per i giovani e per i molto anziani). E, tuttavia, prevale anche la percezione che la transizione energetica da un modello che era dominato dal petrolio e dal gas, avrà costi significativi. Sembra da queste evidenze che dobbiamo fare una scelta dolorosissima tra salute ed economia. Tra un presente già precario e il futuro che sarà abitato dai nostri figli. Ma è proprio così? C’è un modo per rendere la transizione conveniente per (quasi) tutti in maniera che le persone sentano la responsabilità di un processo che non funziona se imposto dall’alto?

Non c’è dubbio che il clima politico attorno all’agenda del cambiamento climatico sia molto cambiato. I sondaggi di Politico Europe, il giornale che forse meglio segue le contorsioni delle istituzioni comunitarie, fanno prevedere che alle prossime elezioni europee, la sconfitta dei verdi sarà persino superiore alla vittoria dei “conservatori” guidati da Giorgia Meloni. Nell’opinione pubblica emergono dubbi sempre più consistenti: secondo il sondaggio che si citava, in Italia c’è una preoccupazione particolarmente forte sul costo che l’adeguamento alle normative europee può avere su un popolo di “proprietari di casa”. In Olanda, il partito cresciuto dalla rabbia degli agricoltori per regole che avrebbero ridotto l’emissione di azoto riducendo la quantità di carne prodotta, sta per scontrarsi con Frans Timmermans, che dopo aver ideato la strategia europea sul cambiamento climatico, si è dimesso dalla carica di vicepresidente della Commissione per fermare gli allevatori. Dappertutto, l’agenda ambientale rischia di essere percepita quella di chi vive comodamente al centro (nelle zone protette dai varchi ZTL) e che può fare a meno delle vecchie automobili.

Il buon senso dice che questa “narrazione” è fuorviante. E, però, per chi è davvero preoccupato del disastro ambientale, è venuto il momento di fare i conti con alcuni micidiali errori. Di comunicazione e di sostanza.

Non è vero che un mondo che avrà compiuto la transizione energetica sarà un mondo più povero o con diseguaglianze ancora maggiori di quelle che già spezzano la coesione. In un modello fondato sul solare e l’eolico, nel quale il consumatore di energia può anche produrla e restituirla al sistema, è ovvio che diminuisca il costo della bolletta e le dipendenze (da pochissimi produttori) che hanno reso il mondo del petrolio così pericoloso. È vero, però, che da quel modello ci separano investimenti infrastrutturali (sulla rete di trasmissione e i meccanismi di stoccaggio) senza i quali le rinnovabili non sono affidabili. Ugualmente vero è che adeguare un patrimonio immobiliare italiano che per il 55% è a due fasce di distanza da quella considerata (dalla Commissione Europea) minima di efficienza energetica può trasformare la casa da un patrimonio in una preoccupazione. Ma ha ragione il Ministro dell’Economia e delle Finanze Giorgetti a denunciare il mal di pancia che gli fa venire l’idea di aver speso 80 miliardi di euro in un bonus del 110% con il quale abbiamo raggiunto il 3% delle abitazioni.

La conferenza delle Dolomiti proverà a dare una risposta ad una domanda fondamentale: come possiamo trasformare quello che attualmente è percepito come un costo – effettivamente insostenibile per governi indebitati e famiglie impoverite – in un investimento che si possa ripagare con i benefici futuri? Questo è il punto fondamentale al quale i negoziati internazionali sembrano non poter più dare risposte. Sono, invece, fondamentali luoghi dove, appunto, si incontrino persone di talento – scienziati naturali, della politica e dell’economia; manager e imprenditori innovativi; giornalisti; politici, studenti; provenienti da tutto il mondo – che possano imparare gli uni dagli altri per trovare soluzioni.

Di sicuro, però non funziona più il metodo che i talebani del clima hanno finora perseguito, alimentando l’estremismo opposto di chi arriva alla negazione. Di fronte ad un problema complesso non può più esserci chi si limita a dare lezioni, fornendo agli altri un manuale delle istruzioni da seguire per salvare il mondo. È necessaria umiltà e consapevolezza dei limiti delle istituzioni e degli strumenti intellettuali che abbiamo usato per governare un ordine globale che non c’è più. Avremo bisogno di persone intelligenti, più che di esperti. In fondo il cambiamento climatico è la grande occasione per fare i conti con un approccio ai problemi che ci sta facendo perdere su tutte le grandi questioni di governo relative a una globalizzazione ormai sfuggita di mano.

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