L'insostenibile leggerezza dell'Occidente
Gli eroi per caso di Kiev
Editoriale di Francesco Grillo per il Messaggero e il Gazzettino del Nord Est
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“La dissoluzione dell’Unione Sovietica segna non già un evento della storia dopo la Seconda Guerra Mondiale, ma la fine della Storia in quanto tale. Questa è la fine dell’evoluzione delle ideologie che raggiunge con l’universalizzazione della democrazia liberale occidentale, la forma finale di governo delle società umane”. Nelle parole con le quali il politologo americano Francis Fukuyama salutò, nel 1992, la caduta del “sacro proletario impero”, c’è tutto l’errore clamoroso che ci ha portato fino alla crisi dell’Ucraina. L’errore vero fu quello di illudersi che la storia possa davvero finire raggiungere una pace senza alternative. E fu, anzi, nel momento in cui la democrazia occidentale raggiunse il proprio apogeo che l’Europa e gli Stati Uniti cominciarono ad esaurire la propria spinta propulsiva creando i presupposti che ci hanno portato negli ultimi tre decenni - attraverso attentati, crisi finanziarie ed ambientali sempre più frequenti e gravi - ad un nuovo bivio.
Per eccesso di sicurezza, abbiamo smarrito l’idea semplice che la democrazia, la libertà, la pace si conservano solo difendendoli. Difendendoli dagli autocrati mai sconfitti e, ancora di più, dalla pigrizia che sempre coglie chi pensa di aver vinto.
Ci portano dietro di più di mezzo secolo le immagini dei blindati fermi alla periferia di Kiev. Nel 1956 fu il Primo Ministro ungherese Nagy a lanciare un appello per una resistenza ad oltranza mentre i carri armati entravano a Budapest; nel 1968 fu la primavera di Alexander Dubcek ad essere schiacciata da un’invasione congiunta degli eserciti del Patto di Varsavia. Quel Patto è morto da tempo, eppure,
oggi, l’Occidente soffre di un’impotenza che lo rende quasi irriconoscibile rispetto a quello che, pure, fu costretto nel sessantotto a veder consumare la tragedia aldilà di una cortina impenetrabile.
Certo la NATO era molto più compatta, mentre vive oggi una crisi di identità cominciata proprio quando ne scomparse il nemico storico. E molto meno forti erano cinquant’anni fa gli intrecci che rendono la nostra economia dipendente dalla fornitura dell’energia senza la quale ci fermeremmo.
Ma l’Ucraina rileva qualcosa di più: un malessere profondo e però anche la possibilità di una reazione.
Abbiamo cominciato a ritenere la sicurezza ed il benessere diritti inalienabili. Abbiamo smarrito la voglia di combattere per quello in cui crediamo perché, appunto, abbiamo fatto l’errore di credere di aver vinto definitivamente. La storia quella che era finita, è diventata una vicenda da osservare in televisione o da uno di quei telefoni che continuiamo a chiamare intelligente. E perdendo quell’urgenza che è legata all’istinto di sopravvivenza, abbiamo finito con il perdere l’interesse nella possibilità stessa di trovare soluzioni. Non solo ai problemi della guerra, ma a tutti quelli più complessi – dal cambiamento climatico alla volontà di sconfiggere malattie che non sono incurabili – e per i quali regolarmente a montagne di dichiarazioni continuano a seguire passi avanti grandi come ridicoli topolini. Abbiamo, in fondo, perso fiducia nella capacità nostra di costruire mondi nuovi che incantò l’umanità alla fine degli anni Sessanta.
E, però, proprio in queste ore, quelle più buie, l’Occidente potrebbe ritrovare quello che ha smarrito trascinatovi dal coraggio di una grande nazione che è nel cuore geografico dell’Europa.
Il blocco praticamente totale dei pagamenti che da e per la Russia transitano attraverso il sistema (SWIFT) avrebbe l’effetto di prosciugare all’improvviso il fiume di denaro che è linfa vitale per i giganti dell’energia russi provocando quella che potrebbe essere la frattura di un sistema che, per decenni ha visto potere economico, militare e politico uniti a Mosca in un blocco monolitico.
Una sanzione così dura avrebbe pesanti contraccolpi anche sull’intero sistema produttivo e sulle famiglie europee che stava faticosamente cercando di uscire da un’altra grande crisi. E, tuttavia, è questo il momento di cambiare ritmo, passare dalla contemplazione dei problemi ad un piano concreto per risolverli.
Bisogna rendere permanenti i meccanismi automatici – sperimentati con la pandemia – che distribuiscano i danni di crisi sempre più frequenti per renderli non catastrofici per le imprese e i soggetti più esposti.
Cogliere l’occasione per definire tempistiche precise per la costruzione di una capacità di produzione di energia europea che ci allontani da quel mondo fossile che ha avvelenato città e rapporti tra popoli.
Uscire dall’eterno equivoco di un’unanimità paralizzante e decidere con quali Stati dell’Unione costruire una capacità autonoma di difesa che ci faccia anticipare problemi che puntualmente ci colgono impreparati. E siccome la difesa di ciò che ci è caro è impresa che coinvolge tutti, è il tempo di pensare a servizi civili obbligatori che restituiscano forza ai diritti più importanti.
La primavera di Praga è raccontata da un romanzo famoso di Milan Kundera. In quel racconto si intrecciano le vite di due uomini, due donne e un cane che in una città pietrificata da un regime paranoico, coltivano le contraddizioni che rendono la vita degna di essere vissuta. Per difendere quelle leggerezze i protagonisti sfidano il conformismo sterile e ne pagano il prezzo.
Oggi è un Occidente non più capace di coraggio ad essere diventato insostenibile.
Gli eroi diventano tali sempre per caso. L’altro ieri, quando nulla sembrava poter fermare i carri armati è stato un ex comico, diventato Presidente sbaragliando tutti con un partito anti-sistema ad aver avuto l’incoscienza di lanciare da un’improvvisata barricata l’appello alla resistenza. Quello che potrebbe aver cambiato una storia i cui esiti non sono mai scontati. Ed è tra gli eroi per caso di Kiev che possiamo ritrovare il senso di quello che siamo.