Inflazione e banche centrali: il paradosso della Casa di Carta

Le banche centrali sono ancora capaci di controllare l’inflazione? 

Editoriale di Francesco Grillo per Il MessaggeroIl Gazzettino del Nord Est.

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Nella “Casa di Carta”, la serie che ha reso NETFLIX il più potente concorrente di televisioni e case cinematografiche, il Professore che guida l’azione spettacolare che ha l’obiettivo di stampare un miliardo di euro, fornisce un valore morale a quello che è un furto. Parlando con l’ispettrice di polizia che se ne innamora inseguendolo, le spiega che, in fondo, con i suoi complici stava ripetendo quello che fanno le banche centrali. Creare moneta dal nulla, facendo atterrare però meglio dei banchieri, il denaro nelle tasche delle persone reali. Quel colloquio fa qualche errore significativo e, tuttavia, oggi il dubbio rimane: le banche centrali sono ancora capaci di controllare l’inflazione? È possibile che fattori come la tecnologia e la globalizzazione (o il processo inverso di sua frammentazione) siano diventati più potenti delle solenni decisioni che Jerome Powell e Christine Lagarde comunicano periodicamente?

 

A dir la verità, i dubbi sulla reale efficacia degli strumenti che le banche centrali hanno a disposizione per centrare i propri obiettivi sono cominciati proprio quando esse furono chiamate a andare oltre il proprio mandato prioritario per salvare un sistema finanziario che fu colpito da due crisi nel giro di pochi anni: quella finanziaria del 2008 che travolse le banche private costringendo la Federal Reserve americana (FED) a salvarle; e quella del 2011 che stava per far saltare Grecia e Italia quando Mario Draghi fece della Banca Centrale europea (BCE) l’argine che avrebbe salvato l’EURO. Dal 2009 fino al 2015, la FED e la BCE iniettarono nel sistema 5 mila miliardi - una quantità di moneta che vale tre volte il PIL dell’Italia - triplicando la dimensione dei propri bilanci. E tuttavia il paradosso è che se prima di questa colossale operazione, l’inflazione era attorno al 4% (nel 2009), essa era scesa sotto lo 0% quando l’iniezione si concluse nel 2015. Contraddicendo ciò che studiamo nei volumi del primo anno della laurea di economia, perché ad un aumento della quantità di moneta dovrebbe conseguire un incremento dell’inflazione. E non la sua scomparsa.

Il paradosso è di grande rilevanza perché se dovessimo accorgerci che il livello dei prezzi non è più controllabile dalle banche centrali, ciò metterebbe in discussione la legittimità stessa di istituzioni che vivono per tenere sotto controllo l’inflazione.

Oggi la situazione è opposta a quella vissuta dieci anni fa, ma il paradosso si ripete. L’inflazione non è troppo bassa ma è diventata improvvisamente troppo elevata; e se dieci anni fa qualcuno poteva aver avuto l’impressione che avessimo trovato il modo di stampare moneta gratis, oggi ci ritroviamo nella situazione nella quale l’aumento dei tassi di interesse strozza con i mutui famiglie già impoverite dall’inflazione. Le banche centrali sembrano però ugualmente impotenti: il tasso d’interesse che la BCE fa pagare è aumentato sei volte dal luglio scorso e del 3,5%; l’inflazione è continuata però a crescere fino a novembre (10,6%) per ridursi ad un livello a febbraio (8,5) che è ancora quattro volte superiore a quello (2%) sotto il quale la BCE deve tenerci per statuto. Ancora più sconcertante è il fatto che la piccola diminuzione dell’inflazione negli ultimi quattro mesi, è stata per intero determinata dalla riduzione nel prezzo dell’energia di cui abbiamo beneficiato dopo aver superato indenni le minacce di Putin. Mentre invece il prezzo dei beni e servizi prodotti internamente che maggiormente dovrebbero essere influenzati dalle politiche monetarie, continuano ad aumentare. 

GRAFICO INFLAZIONE E TASSO DI INTERESSE BCE, GENNAIO 2021- MARZO 2023

grafico inflazione bce

FONTE: VISION SU DATI EUROSTAT E BCE

Insomma, oggi come dieci anni fa sembra che l’inflazione sia diventata indifferente alle decisioni delle istituzioni che hanno come obiettivo quello di controllarne il livello. Fu lo stesso Parlamento Europeo a commissionare nel 2015, un rapporto che si intitolava non a caso “ha la globalizzazione ridotto la capacità delle banche centrali di controllare l’inflazione?”. Ed in realtà è appunto l’integrazione progressiva dei mercati dei beni e dei capitali, nonché la tecnologia ad aver (quasi) ucciso le politiche monetarie. I prezzi scendono perché i computer stanno consentendo di aumentare la produttività; e salgono se il mondo fa retromarcia e spezza quelle catene attraverso le quali si trasferiscono più elevati livelli di efficienza. E sempre meno per le decisioni dei banchieri centrali. Peraltro, tale trasformazione sarà ulteriormente accelerata quando le tecnologie – dopo i recenti disastri – riusciranno ad erodere il monopolio che banche e Stati sulla creazione di moneta accettata da tutti.

Le conseguenze di tale novità sono molto importanti. Potremmo infatti ritrovarci a scoprire che stiamo prendendo medicine scadute rispetto ad un virus che ha subito una mutazione che non abbiamo ancora avuto il tempo di studiare. Che rischiamo una crisi finanziaria ed economica che avremmo potuto evitare.

L’alternativa è quella che lo stesso rapporto del Parlamento europeo indicava: studiare meglio come certe tempeste finanziarie si formano, andando oltre modelli macroeconomici che hanno perso validità; modificare gli obiettivi delle banche centrali rendendoli più flessibili e realistici (concentrandoci sull’inflazione domestica, ad esempio); assumere orizzonti temporali meno schiacciati sulla cronaca dei giornali; coordinarsi con le banche centrali dei colossi asiatici – Cina, India – che pesano sempre di più.

Fu, del resto, proprio Mario Draghi a ricordare ai propri colleghi che navighiamo in acque di cui non abbiamo ancora la mappa nautica. Se continuassimo a usare i vecchi strumenti (tassi di interesse e quantità di moneta) per fenomeni che stanno cambiando pelle, rischieremmo pericolosi effetti collaterali e di rendere obsolete le istituzioni alle quali affidiamo quel poco di stabilità che ci è rimasta.

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