Il paradiso perduto
Il cambiamento climatico e le ultime speranze per l'IPCC report
Editoriale di Francesco Grillo per Il Messaggero, il Mattino e Il Gazzetino del Nord Est.
Le Maldive sono per molti il pezzo del globo che più si avvicina all’idea stessa di paradiso. E, tuttavia, il paradiso sta scomparendo. Letteralmente. Fu il Presidente Ibrahim SOHIL a denunciare qualche mese fa all’ultima Conferenza delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico (COP) che se il mondo non trova il modo di fermare il riscaldamento globale entro gli 1,5 gradi (rispetto alle medie che si registravano prima dell’ultima rivoluzione industriale), l’atollo sarà sommerso dall’oceano tra pochi anni. L’ultimo rapporto dell’gruppo di studio mondiale (IPCC) che analizza il fenomeno, conferma che il rischio di una catastrofe è ormai quasi una certezza. E, tuttavia, rimane ancora un’ultima speranza: ce la giocheremo nei prossimi sette anni. Un ruolo fondamentale lo gioca proprio quel vecchio Continente dal quale vengono più della metà dei turisti che sono disposti a spendere fino a 10.000 euro per una settimana nel paradiso perduto.
Il documento che fa la sintesi di tutto il lavoro svolto dall’IPCC dal 2015 rafforza tre messaggi che devono guidarci sul clima.
Innanzitutto, si ribadisce che il futuro ci sta arrivando addosso. Il rapporto calcola che possiamo immettere in atmosfera ancora solo circa 400 miliardi di tonnellate di anidride carbonica (CO2) prima di condannarci a sorpassare la linea rossa oltre la quale certe alterazioni del clima (compreso l’innalzamento del livello degli oceani) diventano irreversibili: attualmente ne emettiamo quasi 40 ed entro il 2029 potremmo aver già esaurito l’ultimo margine. In secondo luogo, il rapporto dice che esiste una sfortunata correlazione: i Paesi che meno hanno contribuito al disastro (tutta l’Africa) sono quelli più vulnerabili alle sue conseguenze e ciò apre una gigantesca questione di giustizia. Infine, c’è anche una buona notizia: il costo della produzione di energia da fonti rinnovabili è ormai inferiore a quello unitario della generazione da petrolio e gas. Sono il sole e il vento ad essere nettamente la nostra migliore speranza per riuscire nell’impresa di tagliare drasticamente le emissioni.
L’Europa è, in realtà, l’unica regione del mondo che ha già cominciato quell’inversione che nei prossimi anni deve diventare netta. Dal 1990 abbiamo ridotto la nostra produzione di gas serra di un quarto, mentre nel resto del mondo è aumentata del 50%. L’obiettivo del patto verde (GREEN DEAL) dell’Unione è di tagliare di un ulteriore 30% entro i prossimi sette anni, il che significa aumentare di quattro volte la velocità con la quale il continente si sta allontanando dall’economia fossile. La domanda però è se stiamo facendo abbastanza per evitare una catastrofe che ci colpirebbe anche se riuscissimo a svolgere puntualmente il compito che ci siamo assegnati.
In realtà, il green deal andrebbe rafforzato in due direzioni. Innanzitutto, obiettivi più stringenti, con una tempistica che sia articolata per anno e Paese ed una maggiore flessibilità – invece – per ciò che concerne i mezzi utilizzati per arrivarci: è lo stesso IPCC che indica che non ci sono sufficienti dati per fare dell’automobile elettrica il totem della transizione.
In secondo luogo, all’Unione non può essere sufficiente il proprio patto. Se l’Europa è attesa da uno sforzo titanico, il mondo per salvarsi deve riuscire in un’impresa ancora maggiore: gli scienziati calcolano che è necessario che le emissioni globali calino del 21% entro il 2030 (dopo un aumento che dura senza interruzioni da due secoli) anche solo per stare sotto un incremento già disastroso di 2 gradi delle temperature. Per riuscirci è necessario che l’Europa recuperi – sul tavolo ambientale – una leadership che ha perso altrove. Facendoci da mediatori tra Stati Uniti, Cina e India che sono le potenze che decideranno la partita. Potenze che hanno un formidabile vantaggio competitivo sulle tecnologie. E un fattore di freno nella diffidenza crescente che le divide e che l’Europa deve poter superare. Ad esempio, disegnando uno strumento di compensazione dei danni e di condivisione degli strumenti che funzioni a livello planetario.
EMISSIONI DI CO2 IN MILIARDI DI TONNELLATE, DAL 1990 AL 2021
FONTE: VISION SU DATI "OUR WORLD IN DATA"
Il cambiamento climatico non è solo una delle più grandi minacce che la civiltà umana abbia mai affrontato. È anche paradossalmente la più potente narrazione che unisce nella stessa partita Paesi diversi, perché se i ricchi fallissero il clima li colpirebbe con migrazioni bibliche da luoghi senza più acqua. Che unisce generazioni diverse perché la sopravvivenza di chi oggi non vota, dipende – come mai prima – dalla responsabilità di genitori e nonni. Che connette la parte più sofisticata del progresso tecnologico con il “tempo che fa” in piccoli borghi italiani sospesi tra spopolamenti definitivo e sorprendenti rilanci.
Il paradiso delle Maldive è forse davvero perso. Appartiene ad un’epoca che sta finendo. Il volo di un solo turista da Milano alle Maldive produce una tonnellata di anidride carbonica. Più di quanto non ne sia generata in un anno da uno degli abitanti dell’atollo che lo aspetta dall’altra parte del mondo. Sopravviveremo ad un progresso che pur ci ha fatto fare un gigantesco salto in avanti, immaginando tutti insieme – governi, cittadini, imprese – un modo diverso per proteggere i mille paradisi di una terra progettata per ospitarci.