Quante velocità per l'Europa?
Una proposta da VISION
Articolo di Francesco Grillo su Il Messaggero e Il Gazzettino
Chi sarà il nocchiero che navigherà l’Unione Europea in uno dei periodi più importanti della sua storia? Paradossalmente l’unico ad essere sicuro di avere un ruolo centrale ai vertici delle istituzioni comunitarie nel prossimo semestre, è proprio Viktor Orban, il Primo Ministro dell’Ungheria. L’Ungheria ha appena assunto la Presidenza di turno del Consiglio dell’Unione e sarà Orban a dare le carte che, tante volte, si è divertito a sparigliare. Il simbolo stesso dell’eccessiva velocità di un allargamento che celebrammo vent’anni fa; diventa norma di un’Unione che per ridiventare “grande di nuovo” (come dice lo slogan che accompagna la presidenza magiara) deve trovare il modo di allargarsi senza perdere definitivamente rilevanza. È questa la sfida alla quale dare subito una risposta che sia nuova. Capace di superare pragmaticamente divisioni ideologiche che non hanno più senso.
Come ha recentemente notato Stanley Pignal, il corrispondente dell’Economist da Bruxelles, è proprio Orban l’unico che è certo di poter tentare di fare da “cuoco” in una squadra che è a corto di “ricette” per uscire dalla crisi. I due motori dell’Unione – Francia e Germania – sono politicamente indeboliti; Ursula Von DER Leyen deve cercare una maggioranza difficile al Parlamento Europeo1. Ed è paradossale che Orban assume questo ruolo proprio in uno dei momenti più delicati della storia dell’Unione. A novembre, il suo amico Donald Trump potrebbe farci trovare da soli in un contesto completamente nuovo; e con un altro amico del Presidente ungherese, Vladimir Putin, che rischia di mandare in mille pezzi le nostre ultime certezze.
In effetti, Orban è ormai, da tempo, diventato il simbolo stesso delle contraddizioni di un’Unione potente ma fragile. La dimostrazione che metodi decisionali fondati sull’unanimità premiano proprio chi si mette di traverso. E, tuttavia, non è solo Orban ad aver approfittato delle debolezze europee: fu l’Irlanda a impedire che il mercato europeo fosse completato da aliquote fiscali uguali per tutte le imprese; furono i cittadini francesi e olandesi a rigettare l’ipotesi che l’Unione si desse una vera e propria Costituzione; sono stati i giudici costituzionali tedeschi il più serio ostacolo sulla strada del completamento dell’unione monetaria; ed è un altro Paese fondatore - l’Italia - a non aver approvato la riforma del meccanismo che interverrebbe in caso di fallimenti di banche o stati. C’è un problema strutturale che mette l’Unione di fronte ad una scelta difficilissima: rinunciamo a diventare sempre più larghi (che è un’aspirazione che definisce l’alleanza sin dall’inizio)? O ci rassegniamo a essere poco coesi (e veloci a rispondere a crisi sempre più gravi e frequenti)?
La soluzione invocata da molti è quella della rinuncia alle unanimità. E, tuttavia, tale ipotesi servirebbe – pensandoci bene – solo a rimandare il problema e non a risolverlo. Uno Stato che rimane sovrano può anche essere messo in minoranza; conserva però intatte la possibilità di smarcarsi da decisioni che non condivide (soprattutto, se si tratta di scegliere se impegnarsi in una guerra). Vaga è invece l’idea della doppia o tripla velocità: con chi facciamo il cerchio concentrico più stretto? Le condivisioni non aumentano, come dimostra il rapporto tra Francia e Italia, con l’aumentare dell’anzianità della tessera di iscrizione al club. L’idea, infine, di moltiplicare le “geometrie variabili” che già articolano l’Unione in politiche a cui aderiscono sottogruppi dei 27 – così funziona l’area di unione monetaria e quella di circolazione libera - ha il difetto di replicare integrazioni sempre a metà e, dunque, subottimali.
C’è, però, una proposta completamente diversa che verrà discussa a metà settembre in una grande conferenza che a Siena porterà i cinque più grandi partiti politici europei. L’idea è articolata in quattro punti.
- Innanzitutto, gli Stati aderirebbero volontariamente a progetti specifici che prevedano la condivisione - stavolta integrale - di determinate competenze: ad esempio, sulle politiche digitali si crea – tra chi ci sta – un’unica agenzia che però sostituisca quelle nazionali che creano ridondanze.
- In secondo luogo, la decisione dovrebbe essere (in molti casi) legittimata da una consultazione popolare. È il caso delle politiche dell’immigrazione: ha senso dotarsi di un’unica frontiera e strumenti di gestione degli arrivi; ma questo passo necessita che le opinioni pubbliche di ciascun Paese siano coinvolte.
- Infine, è importante che queste integrazioni prevedano meccanismi di uscita predefiniti per evitare di irrigidirle in matrimoni condannati a durare anche oltre la fine dell’interesse (o dell’amore) reciproco.
L’Unione Europea cambierebbe natura ma acquisirebbe la capacità di gestire le differenze senza perdersi in negoziazioni al ribasso o contrapposizioni sterili. Sarebbe un’Europa in grado di riallargarsi non solo ai Balcani, ma anche al Nord Africa (come già succede con la Turchia sul mercato comune); e ai cugini inglesi sulle politiche di difesa e di ricerca. Potrebbe essere questa l’idea per trasformare il difetto storico di non essere né “carne né pesce”, nella flessibilità che ci chiede un secolo velocissimo.
1 Anche Kaja Kallas, il Primo Ministro dell’Estonia, designato come alto rappresentante delle politiche estere dell’Unione, dovrà trovare la maggioranza. Situazione diversa per Antonio Costa, l’ex ministro del Portogallo, che è designato Presidente del Consiglio Europeo e non deve essere approvato dal Consiglio: tuttavia Costa entrerà in carica alla fine del 2024.
Bibliografia:
Il Messaggero. 2024. "Le Pen vince le elezioni in Francia, le destre in Europa e le mosse di Orban. Come cambierà il Vecchio Continente?". LINK.
Adnkronos. 2024. "Cosa succede con Viktor Orbán al Consiglio Ue?". LINK
Il Post. 2022. "Perché in Europa si discute di unanimità?". LINK.