Dalla conferenza di Siena sull'Europa del Futuro
Un approccio pragmatico per atterrare nel ventunesimo secolo
Editoriale di Francesco Grillo su Il Messaggero
C’è un metodo per trovare un terreno comune che può unire le cinque (o sei) grandi famiglie politiche europee? E - soprattutto – un numero significativo dei 27 Paesi europei uniti in un’alleanza spesso paralizzata? C’è un metodo che non sia quello di aspettare pateticamente (è lo sport preferito di buona parte degli analisti che seguono l’Unione da Bruxelles) un improbabile allineamento astrale di maggioranze politiche nei diversi Paesi?
E senza rincorrere con faticosissimi compromessi i furbi che utilizzano il veto per ottenere vantaggi? La domanda – quella che occupa le giornate di Ursula von der Leyen alla ricerca costante di improbabili quadrature del cerchio (l’ultima sui commissari) - ha a che fare con la stessa sopravvivenza di un progetto che è in bilico tra il rischio di un declino irreversibile e la possibilità opposta che l’Europa diventi protagonista della ricostruzione di un ordine mondiale che è sparito. Il metodo esiste ed è fatto dell’identificazione precisa delle scelte (trade off) che il futuro comporta. Di confronto tra posizioni diverse che sia finalizzato alla ricerca di soluzioni concrete e attivabili in tempi brevi. Superando divisioni ideologiche fuori da questo tempo e, persino, l’idea – antistorica – che gli interessi di diversi gruppi di Paesi rimangano uguali nel tempo. È un metodo che qualcuno sta già sperimentando.
Il quotidiano on line POLITICO EUROPE ha ricostruito che tipo di (in) stabilità ci hanno consegnato le ultime elezioni europee. Ciascuno dei ventisei Commissari designati avrà bisogno di ottenere l’approvazione (all’interno dei comitati connessi al proprio portafoglio) che vale due terzi dei parlamentari europei. In tutti i comitati (tranne quello su “affari legali” e “mercato interno”) i nominati avranno bisogno dell’approvazione di tutte e cinque le famiglie politiche europee (conservatori, verdi, liberali, popolari e socialisti) che farebbero parte della Commissione: non approvare la nomina di Raffaele Fitto (come hanno ipotizzato i socialisti) significherebbe rendere più complicato il processo di approvazione di tutti gli altri. Da questa paralisi deriva un ulteriore ritardo nelle audizioni dei commissari designati al parlamento che è previsto adesso per la seconda settimana di novembre. Tra un mese e mezzo e in tempi nei quali un mese e mezzo può cambiare la storia (in questo caso letteralmente perché ci saranno le elezioni americane subito prima del tentativo dell’Europa di darsi un governo). Sono tempi assolutamente non compatibili con le urgenze che ci impongono sviluppi tecnologici che ci hanno scavalcato. La risposta è tutta in un metodo pragmatico che –proprio in Italia, a Siena, in una conferenza/ progetto che si è tenuta tra giovedì e sabato scorso – ha riunito le fondazioni politiche di tutte e cinque i partiti politici europei che sono costretti a governare insieme.
Sono emerse dall’incontro italiano proposte specifiche sul digitale, sul patto di stabilità, sulla difesa comune, sulle politiche verde. Ma soprattutto un’idea forte che supera sia l’antico schema dei “federalisti” (che fecero l’Europa) sia dei “sovranisti” che a quello schema si sono opposti. L’idea è che l’Unione Europea si moltiplichi in una serie di alleanze per politica, per progetto al quale aderiscano - di volta, in volta – gruppi di Paesi che sono disposti a condividere competenze. Vale per le politiche di immigrazione e per la stessa area di libera circolazione: piuttosto che aspettare, per sempre, di tenere dentro tutti, si può lanciare subito un’area di confini comuni tra i Paesi europei del Mediterraneo che si occupi dei processi migratori sin dai luoghi di origine dei flussi (trasformando il problema in opportunità). Vale per la stessa difesa comune dove i Paesi del fronte orientale possono – molto più velocemente – iniziare a mettere insieme eserciti, informazioni (e appalti) per contrastare il pericolo russo. E non è, peraltro, detto che un dispositivo di questo genere non possa aprirsi a Paesi (Norvegia, Regno Unito) che condividono la stessa priorità.
Nel tipo di approccio all’Europa del Futuro che non tutti condividono ma che tutti cominciano a considerare come possibilità realistica, l’adesione a queste alleanze (più complete di quelle a metà alle quali, comunque, aderiscono gruppi di Stati – l’EURO, Schengen) avverrebbe consultando le opinioni pubbliche nazionali (per renderle più forti) e prevedendo – sempre – clausole di divorzio (che rendano le separazioni meno traumatiche).
La flessibilità è la caratteristica principale che ci chiede un secolo iperveloce per far sopravvivere e crescere valori che rimangono il punto di forza del Continente che ha inventato la storia e deve ricominciare a disegnare futuro. L’Europa ha assoluto bisogno di un metodo nuovo per trasformare la sua fragilità, le diversità che contiene in una forza che gli altri (Stati Uniti, Cina) possano ricominciare a studiare.