C'è una luce in fondo al tunnel della guerra. La carta cinese e i termini minimi di una pace giusta
Da Pechino in arrivo una proposta per un piano di pace per l'Ucraina
Editoriale di Francesco Grillo per Il Messaggero, Il Gazzettino del Nord Est, Il Mattino.
“Ci è stato offerto di scegliere tra la guerra e la vergogna. Abbiamo scelto la vergogna. Avremo la guerra.” Con queste parole, Winston Churchill commentò il risultato dell’accordo che fu raggiunto a Monaco il 30 settembre del 1938, quando i Primi Ministri di Francia, Regno Unito e Italia - Daladier, Chamberlain e Mussolini – si incontrarono con Adolf Hitler in una surreale conferenza di “pace”. La richiesta era quella di annettere al Terzo Reich i territori della Cecoslovacchia (sudeti) nei quali prevalevano etnie tedesche, invocando un principio di “autodeterminazione”. Francia e Regno Unito accettarono per evitare la guerra. Che, invece, scoppiò esattamente undici mesi dopo quando i panzer tedeschi entrarono in Polonia. È con questo fantasma che si confronta sin dal suo primo incontro (nel 1963) la grande conferenza di Monaco sulla sicurezza che si è appena conclusa. Quest’anno, proprio come 85 anni fa, si è tentato di discutere come uscire da una guerra che è, invece, già in corso. Senza fare gli stessi errori che denunciò Churchill. Ma con il pragmatismo che lo stesso Churchill utilizzò quando gli toccò negoziare con Stalin una stabilità nuova. Anche stavolta, per cambiare un equilibrio può servire l’alleanza con un Paese che l’Occidente farebbe bene a considerare un concorrente ma non un nemico: la Cina.
È stato, in effetti, il discorso di WANG YI, l’unico vero elemento di novità della conferenza mondiale sulla sicurezza. Il ministro degli Esteri della Repubblica cinese ha anticipato il metodo con il quale a Pechino si sta lavorando ad un piano di pace per l’Ucraina che verrà reso pubblico il 24 febbraio (l’anniversario dell’invasione): la proposta parte da una stella polare – la carta delle Nazioni Unite (che ebbe l’Unione Sovietica tra i promotori) che al suo primo articolo prevede di “reprimere gli atti di aggressione” e al secondo che tutti gli Stati devono astenersi dall’ “uso della forza contro l’integrità territoriale di altri Stati”. WANG concede, tuttavia, che vada riconosciuto il legittimo interesse di qualsiasi Paese a proteggere la propria sicurezza.
Sono sibilline le dichiarazioni dei diplomatici cinesi; e, però, la Cina riconosce che c’è un confine riconosciuto dalla comunità internazionale da ripristinare. Non si conoscono i dettagli del piano ma il progetto è portare tutti ad arrendersi all’evidenza che una composizione del conflitto non possa non passare per un ritiro della Russia dal territorio ucraino; da una forte autonomia delle repubbliche del Donbass (ci sono decine di esempi ai quali ispirarsi) che non escluda l’ “autodeterminazione”; da una neutralità dell’Ucraina rispetto alla Nato che renda meno probabile il contatto tra le due più grandi potenze nucleari. Tra le reazioni, la più interessante è stata quella del Presidente dell’Ucraina ZELENSKY e del suo Ministro degli Esteri KULEBA, che hanno riconosciuto ai cinesi un pragmatismo ed un posizionamento che può essere decisivo.
C’è, in realtà, un motivo che rende la proposta interessante: Putin non può più fare a meno della guerra. Una pace che riportasse tutti al punto di partenza prima di questo disastro, non potrebbe non scavare dubbi nella coscienza di 140 milioni di russi. Duecentomila morti si rivelerebbero tragicamente inutili, nonostante la propaganda già pronta per distorcere, per l’ennesima volta, la realtà. E il solo fatto di riportare le opinioni pubbliche dalla retorica della guerra alla quotidianità dell’economia può portare la Russia a fare i conti con trent’anni sprecati. In un mondo che va inesorabilmente verso il ridimensionamento dell’importanza di gas e petrolio (non solo in Occidente ma anche in Cina) la debolezza dell’apparato degli oligarchi aumenterebbe le possibilità di un’implosione politica (meno pericolosa di quella militare).
È evidente che la proposta dei cinesi non può far piacere ai cantori della guerra fino alla fine (che trascurano il tipo di fine che ci riserverebbe ciò). Così come è altrettanto certo che vadano attivati i meccanismi previsti dalla convenzione di Ginevra (anch’essa sottoscritta dai russi persino più volte degli americani) che prevedono specifici processi sanzionatori per i crimini di guerra. Le fotografie satellitari di molte città ucraine raccontano di una ferocia che ha perso qualsiasi contatto con la realtà; di una follia che nessun soldato perdonerebbe. Ma sono le parole di uomini diventati “eroi per caso”, come il Presidente ZELENSKY, a ricordarci che dobbiamo trovare il modo di costruire una pace più stabile su quella carneficina.
La Cina può giocarsi carte importanti, perché ha interesse che il confronto tra due sistemi alternativi sia sul terreno delle tecnologie e dell’intelligenza artificiale (dove la Cina può vincere) e non su quello militare (dove la supremazia americana non è in discussione). Ed è questo il terreno di gioco sul quale la Cina vuole tornare a giocare, dopo aver superato indenne persino il disastro annunciato di un’impennata dei decessi da Covid19 e ora che ricomincia (secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale) a produrre, da sola, il 40% della crescita economica mondiale.
In fondo i leader cinesi si nutrono ancora della loro storia millenaria e per XI Jinping presentare una proposta di pace possibile può rappresentare una grande vittoria perché ottenuta (proprio come raccomandava il più grande dei generali, quel SUN TZU autore dell’ “arte della guerra”) senza combattere. Per riuscirci i cinesi devono però mandare a memoria anche la lezione di un altro condottiero: quel primo ministro inglese che ancora ci ricorda che la pace si costruisce e si mantiene senza arretrare di un millimetro. Di fronte agli orchi che i soldati ucraini hanno visto avanzare sui cadaveri dei propri compagni lungo il fronte orientale di una guerra senza senso.