Cinque idee per il nuovo governo M5S-PD
In Italia, la strana alleanza ora al governo - tra il M5S, nato dal sentimento “anti casta”, e il Partito Democratico, abituato a vivere nelle istituzioni - apre una finestra d’opportunità.
1) USARE LA PROSSIMA FINANZIARIA PER SPOSTARE RISORSE DAL PASSATO (PENSIONI) AL FUTURO (SCUOLA). COSTRUENDO SU QUESTO UN PATTO TRA GENERAZIONI E FACENDO DI QUESTO CRITERIO LA PROPOSTA ITALIANA DI RIFORMA DEL PATTO DI STABILITÀ
L’Italia spende quattro volte di più in pensioni (che sono un sussidio a chi ha lasciato il mercato del lavoro) che in educazione (che è un investimento a chi nel mondo del lavoro deve entrare). Un rapporto molto più alto di qualsiasi altro Paese in Europa. “Basterebbe” allineare la spesa pensionistica dell’Italia (in percentuale al PIL) a quella tedesca (in proporzione 50 miliardi in più) per raddoppiare le risorse disponibili alla scuola elementare; finanziare un semestre all’estero per tutti gli studenti di scuola superiore; rendere disponibili gli asili a tutti; portare la spesa in ricerca dell’Italia sulle medie europee; aprire le università agli anziani e alla formazione per tutti. Deve essere questo – e non la battaglia sui decimali del deficit sul PIL – la battaglia del Ministero dell’Economia. La storia recente della Cina (e quella antica dell’Italia) lo dimostra con chiarezza: Paesi che non hanno materie prime, hanno un futuro solo puntano tutte le proprie migliori carte sulla conoscenza.
2) AMBIENTE: FARE DELLE CITTÀ ITALIANE IL LUOGO PIÙ AVANZATO DEL GREEN DEAL EUROPEO
La “transizione ecologica fondata su energie rinnovabili” che l’Europa auspica e il programma M5S – PD adottano, non può funzionare se pretendiamo di cambiare un intero Paese e con la stessa strategia.
Esso passa attraverso la creazione di un fondo per l’innovazione nelle città finanziato dall’abolizione agli incentivi ai consumi ambientali (quasi 20 miliardi di euro): le città più coraggiose ospiterebbero innovazioni drastiche per: diventare totalmente elettriche; o con zone interamente dedicate a vetture con la guida autonoma; interi quartieri a consumi zero; o con canali distributivi interamente senza imballaggi. Quello che funziona (come succede per le grandi città cinesi) si replica su resto del Paese (e dell’Europa)
3) USARE L’AUTONOMIA DIFFERENZIATA PER INTRODURRE LA MERITOCRAZIA NELL’AMMINISTRAZIONE PUBBLICA
Tante riforme dell’amministrazione pubblica sono fallite e tutte per lo stesso errore di voler affrontare il problema con leggi che si applicano, dovunque, nella stessa maniera. L’autonomia differenziata deve diventare leva per introdurre MERITOCRAZIA e va estesa a tutte le Regioni e alle stesse (dieci) città (metropolitane). Il criterio è: in maniera flessibile le risorse si riassegnano ogni anno sulla base dei risultati. Un esempio è quello (grosso) dei 42 miliardi di fondi strutturali che (quasi tutte) le Regioni italiane non spendono: una regione è più veloce e più efficace di un’altra nell’utilizzarli? Gli affidiamo anche quelli di progetti che riguardano regioni limitrofe più lente. In maniera simile, un ospedale o una scuola ottiene risultati migliori in una certa zona? I suoi dirigenti sono pagati per trasferire competenze a quelli peggiori.
4) LE PIATTAFORME COME RAGIONE D’ESSERE DELL’EUROPA
Il voto della piattaforma ROUSSEAU diventa la dimostrazione più potente che, ormai, le tecnologie stanno cambiando tutto. E che esse non vanno demonizzate: ma studiate, comprese, regolate. Nel mondo le uniche piattaforme digitali globali sono americane o europee. E non è un caso che su 300 unicorni (START UP dal valore superiore a 1 miliardo di dollari) 150 sono cinesi, 100 americane e solo 15 europee (delle quali 8 inglesi). L’Europa deve sviluppare una piattaforma propria. O almeno incoraggiare i propri “campioni” (come hanno fatto americani e cinesi) a svilupparle. Oppure imporre a quelle americane (e cinesi) un forma di controllo diffuso (democratico) che però oggi non esiste.
5) RIDISEGNARE IL FISCO E LA GIUSTIZIA, CONSIDERANDOLE ORGANIZZAZIONI CHE EROGANO UN SERVIZIO PUBBLICO
Giustizia e fisco sono i due parametri sui quali l’Italia ha – nelle classifiche internazionali – il proprio peggiore svantaggio competitivo. Il fattore che maggiormente rende difficile attrarre o trattenere imprese. Non solo: è sul FISCO e sulla GIUSTIZIA che si gioca il patto sociale che unisce Stato e cittadini, cittadini e imprese tra di loro. Sono la complessità del sistema fiscale e la poco certezza del diritto, i fattori da aggredire se vogliamo che l’Italia si ripopoli di capitale umano e ridiventi società coesa.
L’errore di approccio è aver, sempre, visto FISCO e GIUSTIZIA come settori speciali (un diritto tributario distinto dagli altri diritti, una magistratura che non risponde a nessuno): il cambio di paradigma parte dal considerare il sistema tributario e i tribunali come organizzazioni che erogano un servizio pubblico; indipendenti dalla politica ma che, tuttavia, rispondono ai cittadini per i risultati che conseguono. Una riforma di questi settori che utilizzi tecnologie, la domanda dei cittadini di servizi migliori, un approccio da organizzazione, uscirebbe dalla guerra di trincea tra addetti ai lavori che, per decenni, ha prodotto nulla.