Università: scelte radicali tra passato e futuro
Vocazione al sapere o rapido inserimento lavorativo?
Articolo di Riccardo Luca Broggi
Quest’anno ricorre il trentennale della Magna Cartha Universitatum: un documento sottoscritto a Bologna - sede della più antica Università del mondo - dai rettori dei più prestigiosi atenei.
Nel suo quarto principio fondamentale asserisce che il ruolo dell’Università è quello di essere “Depositario della tradizione dell’umanesimo europeo ma con l’impegno costante di raggiungere il sapere universale”.
Un programma ambizioso ed indispensabile: la missione di alta formazione e libera ricerca del vero, svolta negli atenei, è quel baluardo che ha consentito nei secoli di proteggere e al tempo stesso liberare le spinte culturali in ogni area del pensiero.
Ma anche in questo ambito si pone oggi, con imperio, il dictat del mercato in nome della flessibilità: da una parte la dimensione della ricerca e della tradizione del sapere, dall’altra la realtà produttiva orientata al pragmatismo, che come una sirena seduce studenti e mondo accademico.
L’Università si trova così costretta in una Catch-22: il mondo del lavoro che insegue quello accademico mentre, a sua volta, esso è dilaniato tra i suoi storici valori di vocazione all’alto sapere e un “pubblico” (studentesco) che spinge verso il percorso più efficace e propedeutico per un rapido inserimento lavorativo.
Riflettendo sulla mia esperienza di studente universitario europeo, mi sembra che l’ago della bilancia di questo difficile equilibrio oggi penda nettamente verso la formazione tecnica specialistica piuttosto che verso una formazione che ricerca la costruzione del “best human being”.
Ciò che sento oggi manchi in Università è la condivisione del libero pensiero, quello che secondo Bertrand Russel “leva quel dogmatismo arrogante di colui che non ha mai viaggiato nelle liberanti zone del dubbio e che mantiene intatto e vivo il nostro senso di curiosità mostrandoci ciò che è familiare da punti di vista insoliti”.
Ecco, i punti di vista insoliti, sono proprio quegli occhi nuovi con cui guardare a cose già viste per rileggerle in modo originale ed innovativo, ed è proprio quello che hanno fatto tre imprenditori indiani frustrati dallo status quo dell’educazione superiore in India e determinati a dare una nuova risposta al declino intellettuale delle Università.
Appena quattro anni fa hanno fondato Ashoka University, la cui missione è, nelle parole dei fondatori stessi, “la creazione di uno spazio per la ricerca della conoscenza che non è appesantita o influenzata dalle pressioni commerciali del mercato o da quelle politiche dello stato”.
L’enfasi posta sulla formazione tecnica per rispondere alla domanda del mercato del lavoro riflette, secondo Bikhchandani, Dhawan e Gupta, la necessità di formare specialisti figlia del boom degli anni ‘60 ma è ormai diventata anacronistica.
Ammesso infatti - ma non concesso - che si consideri l’Università come scorciatoia per una rapida carriera professionale, sempre più la globalizzazione e automatizzazione faranno venir meno la necessità di questi professionisti specializzati, rimpiazzati invece da “pensatori puri”.
Come avverte Martin Ford in “Rise of the Robots: Technology and the Threat of a Jobless Future”, infatti, tutto ciò che è “in qualche modo ripetitivo, prevedibile, routine” viene e verrà sempre più automatizzato. Ciò che rimarrà e verrà anzi valutato sempre più, saranno quindi pensatori di grande creatività, capaci di muoversi tra le linee di diversi ambiti (accademici o industriali).
Nel tentativo di rispondere ad ambo le necessità, l’Università nella sua attuale concezione è inefficace quindi in entrambe le dimensioni.
La formazione nozionistica mirata a sfornare professionisti pronti per il mondo del lavoro non riesce così ad ispirare e promuovere la curiosità intellettuale, ed al tempo stesso prepara lavoratori adatti solo alle esigenze di oggi ma incapaci di adattarsi a quelle di domani perché mancanti degli strumenti di pensiero puro e creativo.
Per rompere il circolo vizioso di un’educazione superiore che strizza l’occhio al mercato senza guardare più lontano e senza ricordarsi delle sue radici, occorre riconoscere che questa concezione di formazione educativa pensata per il secolo scorso non risponde più alle necessità odierne.
Un primo promettente passo in questa direzione è stata la creazione degli Istituti Tecnici Superiori, nati 8 anni fa come ente di formazione altamente specializzata con scopo professionalizzante; libera dalle necessità di formare professionisti, l’Università potrà così - e deve - ritornare alle origini della sua missione educativa di ricerca del sapere universale, come l’etimologia della parola stessa ci ricorda.
Per fare ciò, Ashoka University ha seguito il modello di Harvard e Yale, quello dei Liberal Arts Colleges: l’ironia è che questa concezione di educazione sia stato proprio il modo degli americani di diffondere un clima culturale europeo e debba ora essere re-importata nel vecchio continente.
Il percorso proposto in queste istituzioni, infatti, prevede un quadriennio di studi di natura generica composto secondo gli interessi dello studente, mirato a coltivare un senso di curiosità intellettuale e formare giovani completi.
Se sembra utopistico, è perché il Taylorismo del secolo scorso ha permeato anche il mondo accademico e ci ha reso ciechi alla possibilità di un programma educativo non specialistico.
Questo tuttavia non è astrattismo accademico, è piuttosto l’anteprima di un cambiamento di paradigma necessario per anticipare i cambiamenti che ci aspettano.
Photo Credits: Simone Settimo